Lingua e maturazione poetica nell’Epoca III della «Vita»

Il presente articolo si propone di approfondire due aspetti cruciali della Vita di Vittorio Alfieri, con particolare attenzione all’Epoca III: la questione della lingua e la conversione letteraria. Dopo una breve delucidazione sull’opera in merito alla struttura, alla pubblicazione e alle motivazioni della stesura, si passa all’analisi del processo di ‘sfrancesizzazione’ e di acquisizione della lingua italiana da parte dell’autore. Segue poi un’approfondimento sulla maturazione poetica dell’autore, dall’iniziale incapacità di concretizzare la propria ispirazione fino al primo successo teatrale in lingua italiana, Antonio e Cleopatra. Questo articolo si focalizza dunque su due fondamentali conquiste di questo grande autore, che sono profondamente radicate nei luoghi dove egli visse.

La Vita (1806)

Alfieri iniziò la stesura della Vita a Parigi nella primavera del 1790, rielaborandola successivamente a Firenze fra 1798 e 1803. Si tratta della sua autobiografia divisa in quattro epoche: Puerizia (Epoca I), Adolescenza (Epoca II), Giovinezza (Epoca III) e Virilità (Epoca IV). L’opera venne pubblicata postuma nel 1806 dalla contessa d’Albany, la sua compagna. In essa l’autore offre di sé un ritratto idealizzato, enfatizzando con profonda ironia la mediocrità della sua preparazione culturale iniziale per sottolineare così quanto sia meritoria la conquista successiva del successo letterario. Le motivazioni della stesura dell’opera vengono riferite alla fine della «Parte Prima»: “Il non aver dunque per ora altro che fare; l’aver molti tristi presentimenti; e il credermi (lo confesserò ingenuamente) di avere pur fatto qualche cosa in questi quattordici anni; mi hanno determinato di scrivere questa mia vita, alla quale per ora fo punto in Parigi, dove l’ho stesa in età di anni quarantuno e mesi […]” (Vita, pp.266-267).

Vita di Vittorio Alfieri scritta da esso
Vita di Vittorio Alfieri scritta da esso

La questione della lingua

‘Sfrancesizzazione’

La questione della lingua è stata al centro di tutta la carriera letteraria di Vittorio Alfieri ed è una delle linee tematiche principali della sua autobiografia. Nell’Epoca III della sua Vita, quella dedicata agli anni della giovinezza, questi descrive il suo viaggio fisico, spirituale, letterario e soprattutto linguistico per vari paesi dell’Europa. A Firenze inizia a studiare l’inglese, apprezzato perchè parlato nel Regno Unito, che lui riteneva essere patria della libertà e dunque in linea con il suo spirito ribelle. Tra il novembre 1774 e il febbraio 1775 Alfieri si dedica alla stesura di un diario personale, con appunti principalmente in francese, lingua che, in quanto nobile, parlava correntemente, perchè: “[…] la difficoltà d’esprimersi in toscano era somma e la natural ripugnanza a sparlar di sè non minore” (Alfieri 1994: 24). Lo disprezzava in quanto lingua del nativo Stato Sabaudo e dunque espressione dell’assolutismo e della tirannia. Parte della sua ‘spiemontizzazione’ è la ‘sfrancesizzazione’, dato che il francese, lingua dell’oppressore, non si addiceva alle sue opere letterarie. Alfieri parlava un francese d’uso, a volte scorretto, ma tendenzialmente buono. Con gli amici piemontesi e con il servo Elia parlava invece il dialetto piemontese.

La conquista dell’italiano

L’italiano era secondo Alfieri la lingua adatta alle sue tragedie, ma, sebbene fosse antifrancese, nelle prime opere letterarie ricalcava involontariamente sintassi e grafia del francese. Come racconta nell’Epoca IV, soggiornando a Firenze e studiando autori del canone letterario toscano come Dante e Petrarca, inizia a “parlare, udire, pensare, e sognare in toscano, e non altrimenti mai più”(Vita, pp. 194). Inoltre raccoglie più di seicento forme lessicali toscane accostandole alla corrispettiva traduzione in lingua francese e in dialetto piemontese, compilando così uno dei più importanti vocabolari bilingue di quel secolo. Anche nelle sue riflessioni giornaliere, l’autore inizia a scrivere in italiano, alternando pensieri sulla sua vita ed esercitazioni con la lingua toscana. L’italiano diviene la lingua dei suoi numerosi capolavori, tra cui la Vita, nella quale, in quanto opera della maturità e coronamento dei suoi studi di italiano, gli influssi delle altre due lingue parlate si affievoliscono. Come racconta nell’Epoca IV, studia inoltre le lingue classiche: riprende il latino poiché dimenticato e decide di imparare il greco da autodidatta.

La maturazione poetica

L’ “impotenza scrittoria”

All’inizio dell’Epoca III, Alfieri si definisce ironicamente “vero barbaro Allobrogo” (Vita, p. 93), in riferimento alla sua scarsa acculturazione, frutto della formazione presso la Reale Accademia di Torino. Nel corso del secondo e terzo viaggio, molte sono le occasioni e i luoghi che avrebbero potuto ispirarlo a scrivere versi, come egli stesso constata ripetutamente. Ad esempio, racconta che a Marsiglia amava passare del tempo con la schiena contro uno scoglio alto, così da vedere davanti a sé solo il mare e il cielo. Il sentimento del sublime e dell’estremo veicolato da questo luogo lo ispira profondamente, ma nessuna di queste sue acerbe fantasticherie viene espressa “in rima o in prosa in una lingua qual che si fosse” (Vita, p. 107). Alfieri sviluppa “un certo impeto ed effervescenza d’idee creatrici” (Vita, pp. 113) anche in occasione del suo innamoramento con una giovane olandese, ma anche in questo caso non riesce ad esprimere questi suoi sentimenti in modo creativo.

“un parto affrettato di una ignoranza capace”

Dopo tre lunghi viaggi alla ricerca di se stesso e del suo scopo, nel 1772, Alfieri rientra a Torino, dove alloggia in un lussuoso appartamento in Piazza san Carlo. E’ qui che fonda la Société des Sansguignons, che paragona scherzosamente alla massoneria. Per essa compone le sue prime prove letterarie, scritte in un francese “non buono, se pure non pessimo” (Vita, p. 151). Fra di essi viene menzionato l’ Esquisse du Jugement Universel, che risente delle letture del giovane, tra cui quella di Voltaire. Qui si colgono già i germi del suo profondo odio nei confronti dell’assolutismo sabaudo, infatti il re Carlo Emanuele III e tutto il suo governo vengono posti di fronte al giudizio divino. A ispirare il suo primo successo è però un’avventura amorosa, quella con la marchesa Gabriella Turinetti da Prié. Prendendo spunto dagli arazzi in casa di quest’ultima, che rappresentavano le vicende di Cleopatra e Antonio, il giovane inizia a scrivere una “tragedia, o commedia […] insomma delle parole a guisa di dialogo, e a guisa di versi” (Vita, p. 154). Paragonando la sua vicenda amorosa a quella della famosa coppia e consultandosi con amici colti, porta a termine l’opera teatrale Antonio e Cleopatra, che in seguito definì con disprezzo Cleopatraccia. Nel 1775 va in scena al Teatro Carignano di Torino con successo assieme alla farsetta I poeti, nella quale attraverso il personaggio di Zeusippo si prende gioco dell’altra sua opera teatrale. Dunque lo stesso Alfieri percepiva già all’epoca l’immaturità della sua Cleopatra, “parto affrettato di una ignoranza capace” (Vita, p. 162). Interessante è il fatto che in essa vengono anticipati motivi e personaggi che compariranno nelle future tragedie, nelle quali però lo spazio dedicato alla tematica amorosa verrà ridimensionato. Altrettanto cruciale nel suo percorso di maturazione poetica fu il suo primo sonetto, Ho vinto alfin, (o meglio, quello che lui, così afferma nella sua autobiografia con ironia, reputava tale), che definisce come liberazione dal tedio di una vita senza uno scopo. Entrambi questi esperimenti sono significativi in quanto scritti in italiano, la lingua che Alfieri reputava essere la più adatta alla tragedia e che all’epoca ancora non conosceva appieno.

Piazza san Carlo a Torino (foto di Riccardo Speziari). Licenza: Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Piazza san Carlo a Torino (foto di Riccardo Speziari)

La conversione poetica

L’Epoca III della Vita ripercorre quindi le tappe attraversate da Alfieri prima di scoprire la sua vocazione poetica, la quale viene presentata come il fulcro attorno al quale si struttura la sua esistenza. Questa vicenda ricorda quella di una conversione religiosa. Inizia infatti con le inquietudini causate dalla tensione verso uno scopo ancora sconosciuto (ben veicolate dal fatto che il giovane, più che aver interesse a visitare le città dove sosta, ha il continuo desiderio di spostarsi da un luogo all’altro, smanioso di raggiungere chissà quale meta) e culmina nel momento della rivelazione e della applicazione totale alla causa. Questo culto religioso della poesia, visto come suprema realizzazione del sé, si fonde con il motivo della comunione fra vita e poesia, elementi che fanno di Alfieri un precursore del Romanticismo.

Per citare questo articolo

Cavicchio, Alessia. Vita, Margherita Corinna. “Lingua e maturazione poetica nell’Epoca III della «Vita»”, Geolitterae, Università degli Studi di Milano, 19.06.2023, https://geolitterae.unimi.it/2023/06/19/articolo-base-3/

Riferimenti bibliografici

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