Cape Farewell, ecocritica e Ian McEwan

What does culture have to do with climate change? Everything.

David Buckland

Con questa citazione – breve ma d’effetto – si apre il saggio di Elisa Bolchi pubblicato nel volume Estremi confini (2020) e intitolato Incontri artistici in spazi estremi. Solar di Ian McEwan e il Progetto Cape Farewell. In questo saggio, Bolchi mette in relazione cultura, cambiamento climatico, nuovi generi letterari (climate fiction) ed ecocritica.

Cape Farewell

È il 2001 quando David Buckland, artista a trecentosessanta gradi, decide di fondare Cape Farewell, di cui è da allora direttore internazionale. Cape Farewell ha come obiettivo quello di far collaborare scienziati e artisti di modo da comunicare al mondo come avviene e quali sono le conseguenze del cambiamento climatico.

So, you put those two together: the scientific guys have told us ‘we have a problem’ and then you put the artists guys and you go ‘come on, now we’ve got to really figure out: what is the future? What is the inspiration going forward?’ and that’s what we’re here to do.

David Buckland

Cape Farewell si impegna a dare una visione a tutto tondo della situazione, da residenze artistiche come FarmArt che ha dato vita al più recente The Milking Parlour di Vanessa Reid a vere e proprie spedizioni artiche per assistere in prima persona agli effetti del riscaldamento globale. Ed è proprio ad una di queste spedizioni artiche a cui partecipa nel 2005 lo scrittore inglese Ian McEwan.

L'artista David Buckland e l'autore Ian McEwan conversano durante la spedizione artica del 2005 compiuta per il progetto Cape Farewell. Indossano vestiti pesanti invernali, adatti per le basse temperature artiche. Stanno in piedi su un terreno innevato e desolato e in sottofondo si vede una montagna di neve. C'è la luce naturale del sole.
David Buckland (a sinistra) e Ian McEwan (a destra) durante la spedizione. Dal sito del progetto Cape Farewell.

Solar di Ian McEwan

Solar di Ian McEwan viene pubblicato nel 2010 e si ispira alla spedizione artica cui partecipa l’autore nel 2005, insieme a un team di artisti e scienziati. È proprio su questo romanzo e sul suo autore che si concentra Elisa Bolchi nel saggio per l’importanza che ha avuto – o che almeno avrebbe dovuto avere – nell’ecocritica. Infatti, basandosi sull’articolo di Greg Garrard, professore di inglese e sostenibilità all’Università della Columbia Britannica, Ian McEwan’s Next Novel and the Future of Ecocriticism, Bolchi sostiene che

I critici restarono in trepida attesa del romanzo soprattutto perché, se fosse stata un’opera narrativa di successo come lo erano stati tutti gli altri recenti romanzi di McEwan, avrebbe potuto provocare «a fundamental shift in eco critical assumptions, from moral idealism to pragmatism».

Elisa Bolchi

Questo perché, come fa notare Bolchi prendendo in prestito le parole di Dan Bloom, giornalista che ha coniato il termine “cli-fi”, ossia “climate fiction”, genere di cui Solar fa parte, “gli scrittori di romanzi cli-fi aiutano i lettori a connettersi emotivamente col problema”. Insomma, quello che Garrard, Bloom e Bolchi ci vogliono far notare è che l’arte, in questo caso, diventa il medium migliore per trasmettere l’urgenza di un problema, come è successo già negli anni passati per questioni come il razzismo o il sessismo.

Corpi in spazi estremi

Se una delle prime cose che notano i musicisti della spedizione, ci dice Bolchi, sono “il suono e le sensazioni dei loro passi”, la coreografa Siobhan Davies nota come quel luogo innevato e i trenta gradi sotto lo zero limitino il suo corpo, i suoi movimenti e i suoi respiri. L’esperienza porta Davies a creare nel 2007 un’installazione intitolata Endangered Species, dove una ballerina ha i movimenti limitati dalle bacchette flessibili attaccate al suo costume.

Su uno sfondo nero fisso, vengono mostrati in successione i movimenti di una ballerina. Il costume della ballerina ha attaccati dei bastoncini flessibili, che le impediscono il libero movimento.  Il costume della ballerina è bianco sporco sul grigio.
Immagine ferma di Endangered Species, il progetto di Siobhan Davies. Dal sito di Cape Farewell.

Elisa Bolchi ci racconta come anche McEwan descriva questa “inadeguatezza”, come viene definita nel saggio, ma con un approccio diverso che verte invece sull’ironia: dall’episodio in cui il protagonista di Solar crede di essere rimasto evirato a causa delle temperature ostili, al post dell’autore stesso sul blog di Cape Farewell, A Boot Room in The Frozen North, dove prima di iniziare a parlare del problema dello scioglimento dei ghiacciai o dell’epicità del luogo in cui si trova, si concentra su sensazioni meno romantiche, come il doversi togliere gli scarponi bagnati nel gelo artico.

Don’t Look Up e il cli-fi oggi

Per chi ha letto Solar e ha anche visto di recente il film del 2021 Don’t Look Up con Leonardo DiCaprio, non è difficile trovare delle somiglianze. Anche i protagonisti, seppur diversi poiché quello di Solar è un negazionista e l’altro invece no, si somigliano nei loro altri difetti, come le loro relazioni extra-coniugali. Inoltre, entrambi si prendono il merito delle scoperte dei loro due giovani protetti, mentre questi ultimi soffrono destini infelici (uno morto e l’altra accusata di allarmismo a livello globale).

Anche se Adam McKay, lo scrittore di Don’t Look Up, non ha ammesso da nessuna parte di essersi ispirato a Solar, si può comunque affermare che il cli-fi è un genere da anni sempre più prolifico: basti pensare a film come Interstellar (2014) o anche Wall-E (2008), che vedono la specie umana tentare di fuggire a un mondo che hanno distrutto, o anche romanzi come La Strada (2006) di Cormac McCarthy o Oryx and Crake (2003) di Margaret Atwood, entrambi ambientati in mondi post-apocalittici.

Un messaggio per il futuro

È chiaro un concetto: gli scrittori di cli-fi non descrivono un futuro che vogliono veder realizzato, ma anzi, vogliono far suonare un campanello d’allarme, fermare un qualcosa da cui gli esperti stanno cercando di avvisarci, non per noi ma per quelli che verranno dopo di noi. Infatti,

We’ve caught ourselves in the situation where we are having to address the needs of people unborn – not our own children, maybe even not our children’s children but the generations after that […] To bear the weight of the future in this way is both interesting and difficult and runs probably counter to our nature.

Ian McEwan

Per scoprirne di più, potete trovare l’intero saggio di Elisa Bolchi nel volume Estremi confini (2020) a cura di Nicoletta Brazzelli.

David Buckland, Ian McEwan e altri artisti parlano del progetto Cape Farewell

Per citare questo post:

Castiglione Mariana Lucia. “Cape Farewell, ecocritica e Ian McEwan”, Geolitterae, Università degli Studi di Milano, 21.03.2022, https://geolitterae.unimi.it/2022/03/21/cape-farewell-ecocritica-e-ian-mcewan/.

Materiale bibliografico di riferimento:

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