James Joyce e il suo rapporto con Dublino

Il presente post si propone di fornire le nozioni essenziali sulla vita dello scrittore irlandese James Joyce. In particolare, se ne descriverà l’ambiguo, nonché duplice rapporto di amore e odio con la propria città natale, ovvero Dublino, che pur essendo stata “abbandonata” prematuramente dallo scrittore, in realtà permarrà una costante in tutta la sua produzione letteraria. A tal proposito, non mancherà la menzione all’opera primaria di Joyce, nonché anche quella più conosciuta, ovvero Dubliners, della quale sarà fornita una descrizione dettagliata relativamente al ruolo dei personaggi e al tema cardine che riecheggia nell’intera opera.

Biografia

Ritratto di James Joyce
James Joyce (1917), Zurigo, Svizzera

James Joyce nasce a Dublino, in Irlanda, nel 1882; fu uno studente brillante, frequentò una scuola di gesuiti ed in seguito l’Università di Dublino, dove si laureò in lingue moderne nel 1902. É proprio in questo periodo che cominciò a ribellarsi alle restrizioni morali e politiche dell’Irlanda, dove a regnare era un’irrefrenabile voglia d’indipendenza, voluta dalla maggioranza dei suoi connazionali.

Sin dal XIX secolo, infatti, molti erano stati i tentativi da parte dell’Irlanda di scrollarsi di dosso l’egida della corona britannica; tentativi che, però, Joyce considerava un ostacolo alla sua crescita artistica, motivo per cui, dopo essersi laureato, lasciò Dublino per la prima volta. Vi farà poi ritorno poco dopo, a causa della malattia della madre che in breve tempo morì, per poi allontanarsene definitivamente nel 1904, anno in cui Joyce incontrò Nora Barnacle, una cameriera proveniente dalla contea di Galway, che diventerà sua moglie e con la quale si stabilirà a Trieste, in Italia.

Trieste: un esilio autoimposto

La Dublino di Joyce rappresentava qualcosa di estremamente lontano da lui: egli guardava la rivoluzione con un certo distacco, non solo quello meramente fisico (come già anticipato, si era allontanato dall’Irlanda) ma anche quello intellettuale. Bisogna specificare che anche Joyce credeva che fosse necessario liberarsi dall’oppressore inglese, ma non era molto d’accordo con le modalità di lotta indipendentista attuate dai suoi stessi connazionali. Con la sua visione dall’esterno si era accorto che la società irlandese era come “paralizzata”, ovvero immersa in una sorta di naturale schiavitù che le impediva di divincolarsi dalle sue catene. Dunque, era come se secoli di oppressione culturale avessero reso sterile e retrograda la cultura dell’Irlanda e dei suoi abitanti, rendendoli prigionieri di schemi mentali imposti dall’alto. In effetti, il suo sarà un esilio autoimposto, dunque volontario, che avrà luogo proprio nella città italiana di Trieste. In particolare, oltre che per motivi di lavoro (lì cominciò ad insegnare inglese presso la Berlitz School), lo scrittore la sceglierà per il suo cosmopolitismo, con la certezza di trovare un’alternativa alla sua città, da lui descritta come un luogo dall’atmosfera non adatta al suo spirito libero.

Dublino: un vero e proprio personaggio

Mappa città di Dublino
Mappa Dublino (Open Street Map)

Pur lasciando prematuramente l’Irlanda per i motivi menzionati in precedenza, Joyce continuerà a portarsi dietro tutta l’essenza irlandese che lo caratterizza e che non perde occasione di rievocare in ogni sua pagina. Nonostante non vi fece più ritorno, il legame emotivo e spirituale che lo legava alla sua città natale non fu mai spezzato completamente: è per questa ragione che Joyce ambientò tutti i suoi romanzi a Dublino, descrivendone la gente, le strade, le case, la lingua… Lo fa in un modo così realistico e così accurato che lui stesso dichiarò che se Dublino fosse stata distrutta, avrebbero potuto ricostruirla grazie ai suoi libri. Dublino, dunque, non è soltanto il luogo in cui le sue storie sono ambientate, ma acquisisce il ruolo di un vero e proprio personaggio alla stregua degli altri personaggi, oltre a rappresentare uno stato d’animo.

Una duplice visione

A tal proposito, tutte le sue opere rivelano al tempo stesso il rapporto di amore e odio che lo scrittore aveva con la sua patria: è dunque importante sottolineare l’ambiguità che da sempre ha contraddistinto tale relazione. Da un punto di vista intellettuale, egli descrive una Dublino angusta e religiosa, oltre che dalla mentalità chiusa nei confronti della cultura, della vita e della verità; al tempo stesso, però, risulta anche essere una Dublino amata. Del resto non poteva essere diversamente per un uomo che decide di fare della propria città e del proprio Paese lo sfondo ed il tessuto della sua letteratura.

Dubliners (Gente di Dublino)

Dubliners (1914) è una raccolta di quindici racconti in cui Joyce fa un ritratto della vita di Dublino all’inizio del XX secolo. Le storie risultano suddivise in quattro categorie, rispettivamente corrispondenti a quattro diverse fasi della vita umana: l’infanzia, l’adolescenza, la maturità e la vita pubblica. Dublino viene descritta come una città provinciale e stagnante e, come lo stesso Joyce afferma, viene considerata il centro della “paralisi” storica, sociale e psicologica che condiziona la vita dei suoi abitanti, non permettendo loro di crescere come essere umani. Dunque, non si tratta di una paralisi puramente fisica, ma anche morale e spirituale. Gli abitanti di Dublino, in tal senso, si ritrovano davanti ad una duplice realtà: accettare la loro condizione poiché inconsapevoli, oppure, venirne a conoscenza mediante un momento di rivelazione, ma non avere il coraggio di reagire poiché deboli, rimanendo così vittime della paralisi e delle costrizioni morali, religiose, politiche e culturali della loro città. Proprio a partire da qui andava scacciato il nemico interno: l’impegno intellettuale ed artistico di Joyce, infatti, era diretto a rendere liberi i suoi connazionali dalla loro prigionia, spesso scontrandosi con gli stessi che, a suo modo, intendeva salvare. Nonostante lo stesso titolo faccia riferimento ai personaggi dei quindici racconti che costituiscono l’opera, le vite, le anime e le storie in essi raccontate sono universali, motivo per cui Gente di Dublino, Gente di New York o Gente di Berlino, poco cambierebbe. A tal proposito, i personaggi in realtà altro non sono che un riflesso di Joyce e dell’angoscia di una vita che starebbe stretta a chiunque la vivesse. Dunque, è mediante uno stile realistico, utilizzato per dipingere gli sfondi delle vicende, che il narratore ci restituisce questo senso di paralisi morale in cui vivono i suoi personaggi, i quali, a tratti, tenteranno disperatamente la fuga con il desiderio di tornare a camminare. Trattasi però di una fuga per sempre destinata a fallire.

Fabrizio Pasanisi (2019), Biblioteca Angelica, Roma

Video approfondimento: Gente di Dublino di James Joyce (2019)

Fabrizio Pasanisi, scrittore e giornalista, ha ricevuto la menzione della giuria al Premio Calvino (2012); qui ci offre un ritratto della città di Dublino, nonché dello scrittore irlandese James Joyce, mediante la lettura di alcuni estratti della sua opera primaria Dubliners (Gente di Dublino).

Per citare questo articolo:

Rafalà, Gloria. “James Joyce e il suo rapporto con Dublino”, 12 Maggio 2023, Geolitterae, geolitterae.unimi.it/2023/04/21/articolo-base-2/.

Riferimenti bibliografici

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