Intervista a Simone Ferrari
Il nostro primo sguardo sull’attualità ci porta in America Latina, più precisamente in Colombia. Ci concentreremo sulla capitale Bogotà e il centro cosmopolita di Medellín. In questo primo dialogo senza confini approfondiremo la situazione sociale, politica ed economica della popolazione grazie all’aiuto di un esperto: Simone Ferrari.

Prima di entrare nel vivo dell’intervista e affrontare i temi principali, vorremmo chiederle di presentarsi per fornire ai nostri lettori e lettrici un quadro completo della sua formazione professionale. Può spiegarci di cosa si occupa e quali progetti ha realizzato?
Sono un ricercatore e un giornalista che si occupa di problemi sociali e culturali della Colombia contemporanea. La mia attenzione si concentra sulle comunità indigene, le loro tradizioni letterarie contemporanee e le loro esperienze di migrazione forzata in altre città. A partire da questi studi, mi sono dedicato ad altre tematiche, quali le letterature della violenza e della migrazione in Colombia. Ho inoltre condotto ricerche sulla trasformazione dello spazio urbano in contesti di oppressione o di esclusione sistematica di alcuni quartieri, e di come questi hanno elaborato strategie di resistenza a partire dagli strumenti che offre la cultura locale.
Volevamo chiederle innanzitutto una breve descrizione della situazione politica, economica e sociale della Colombia. Inoltre, ove possibile, di illustrare il filo rosso che collega i diversi stati dell’America Latina sempre nel merito dei tre aspetti citati poc’anzi.
La Colombia presenta una peculiarità unica nel contesto latino-americano: un conflitto armato che dura da oltre sessant’anni, alimentato dalla violenza politica e sociale, e dal narcotraffico, sorto con vigore a partire dagli anni ‘80. Nonostante questa persistente incertezza, il Paese gode di una relativa stabilità economica e politica, senza aver subito colpi di stato o dittature prolungate, ad eccezione di una breve parentesi degli anni ‘50 ancora ampiamente dibattuta.
A livello economico, non ha mai presentato grandi crisi come invece è avvenuto in Argentina o in Venezuela di recente. La Colombia vive questa contraddizione: da una parte è sicuramente un Paese che porta con sé una storia di violenza unica in Sud America, dall’altra una relativa stabilità economica e politica. Tutto ciò sempre nei parametri del continente. Mentre in Argentina, Uruguay e Brasile le dittature militari del ‘900 hanno lasciato un segno profondo, in Colombia il conflitto armato, protrattosi per decenni, continua a influenzare la società ancora oggi. Inoltre, il narcotraffico ha assunto in Colombia dimensioni e caratteristiche uniche. Anche l’Ecuador, in misura minore, sta sperimentando ultimamente dinamiche simili legate al narcotraffico.
Per quando riguarda l’aspetto politico, il panorama colombiano ha subito una profonda trasformazione negli ultimi anni. Dopo decenni di governi conservatori e liberali, l’elezione di Gustavo Petro, il primo presidente socialdemocratico nella storia del Paese, ha segnato una svolta storica.

Parlando proprio del nuovo governo, secondo lei a cosa si deve questo cambiamento?
Ci sono diversi fattori, uno particolarmente determinate è stato la grande crisi politica del 2021. All’epoca in Colombia era presente il governo di Iván Duque, erede della destra storica colombiana, cioè la destra di Uribe. Proprio in questo contesto si è innescato un cambio di rotta dato dalla crescente insoddisfazione popolare nei confronti delle politiche governative, come le riforme fiscali. A seguito della pandemia, il tutto è culminato nelle massicce proteste che hanno avuto luogo ad aprile e maggio del 2021. La violenta repressione di queste manifestazioni ha unito le diverse frange della società colombiana, dalle periferie urbane alle comunità indigene, dalla popolazione afro-discente agli studenti, alimentando un forte sentimento di unità e di richiesta di cambiamento.
Il discorso politico di Petro si è distinto per una narrazione socialdemocratica che si distanzia dai modelli autoritari del socialismo del passato o del vicino Venezuela, abbracciando invece temi contemporanei come il femminismo, l’ecologismo e la lotta al razzismo. Questa nuova visione politica ha riscontrato consenso in una parte della popolazione, stanca delle vecchie élite e desiderosa di un futuro più equo e inclusivo. Nonostante ciò, la sinistra al governo non ha ottenuto una schiacciante vittoria, tanto da poter definire la Colombia un paese diviso tra socialdemocratici e conservatori.
Quindi potremmo definirlo un cambio di rotta progressista?
Esatto, ed è una relativa novità anche nella sinistra latino-americana. C’era stato l’esempio di José “Pepe” Mujica in Uruguay come antecedente simile a quello di Gustavo Petro, però è una narrazione diversa da altre sinistre più tradizionali come quella di Lula in Brasile o ancora dalle sinistre cubana e venezuelana che invece hanno un discorso apertamente rivoluzionario.

Possiamo vedere quindi una sorta di ramificazione delle diverse correnti di sinistra in tutta l’America Latina?
Dobbiamo specificare che il presidente Gustavo Petro è stato un guerrigliero che ha combattuto lo Stato. Proviene dalla sinistra rivoluzionaria della seconda metà del ‘900 in America Latina che ha come modello la rivoluzione cubana. Tuttavia, negli ultimi vent’anni il suo discorso si è rinnovato molto e si è aperto a temi storicamente complessi per la sinistra rivoluzionaria, come la questione della multietnicità dei paesi latinoamericani, in particolare la questione indigena. La Colombia è un Paese che conta 115 popolazioni e 65 lingue; queste popolazioni hanno delle rivendicazioni specifiche come il diritto alla terra e il diritto a gestire le proprie porzioni di territorio, che spesso vengono ignorate dalla sinistra rivoluzionaria. Contrariamente, Gustavo Petro ha aperto un dialogo con queste istanze territoriali che sono spesso di matrice ecologista. Quindi sì, Petro sta tenendo un discorso abbastanza innovativo rispetto ad altre sinistre del continente.
Vorremmo sapere di più sulle popolazioni indigene e in particolare sulla questione linguistica in Colombia? Come manifestano le varie popolazioni indigene la propria lingua e più in generale la propria cultura?
Come detto in precedenza, la Colombia è un Paese con una straordinaria diversità linguistica, ospitando oltre 65 lingue indigene, un’eredità delle civiltà precolombiane. Queste lingue, parlate da oltre un milione di persone, sono diffuse in quasi tutte le 33 regioni del paese, sebbene siano state a lungo represse e marginalizzate. Nonostante ciò, le comunità indigene stanno lavorando attivamente per preservare e promuovere le loro lingue, attraverso l’educazione, la cultura e l’uso di mezzi di comunicazione moderni.
La rivitalizzazione delle lingue indigene passa attraverso diverse iniziative: la creazione di scuole dove si insegna nelle lingue madri, lo sviluppo di espressioni artistiche come la musica, il cinema e la letteratura, e l’utilizzo dei social media per diffondere la cultura e le tradizioni. Artisti indigeni, da rapper a documentaristi e scrittori, stanno utilizzando le loro opere per far conoscere al mondo la ricchezza e la complessità delle loro lingue e delle loro identità.
La musica andina è un esempio di come le tradizioni musicali indigene si siano diffuse e abbiano influenzato altre culture. Anche la letteratura ha un ruolo fondamentale, con autori bilingue che scrivono e traducono le loro opere, ispirando nuove generazioni di scrittori.
In conclusione, la Colombia è un Paese dove le lingue indigene, nonostante le difficoltà del passato, stanno vivendo una nuova rinascita. Grazie all’impegno delle comunità indigene e alla creatività degli artisti, queste lingue sono diventate un simbolo di resistenza e di identità culturale.

Ora vorremmo concentrarci sulla narrazione spesso stereotipata dell’America Latina, in particolare della Colombia, da parte dei media occidentali. Queste rappresentazioni, che includono numerose serie TV, dipingono la regione come dominata dalla droga e dalla violenza. Quanto c’è di reale in queste descrizioni e quanto di fittizio?
Il narcotraffico in Colombia è un problema di dimensioni enormi, ma le sue radici affondano ben oltre i confini nazionali. L’associazione esclusiva tra Colombia e narcotraffico oscura un dato fondamentale: l’elevatissima domanda di cocaina proveniente dai paesi del Nord del mondo, quali Stati Uniti, Europa, Australia e alcuni paesi del sud est asiatico, e la complessa rete di connessioni tra i cartelli sudamericani e le organizzazioni criminali europee e statunitensi, che finanziano e gestiscono il traffico illecito. Perciò, possiamo dire che non si tratti solamente di un fenomeno locale circoscritto allo stato colombiano, bensì di un’emergenza di portata globale. La condanna dei paesi del Sud America è di avere un territorio e un clima favorevole per la produzione massiva di cocaina.
Per quanto riguarda invece la rappresentazione mediatica del narcotraffico, come nella serie Narcos, si privilegiano gli aspetti più spettacolari e violenti del fenomeno, come le guerre tra cartelli e l’occupazione delle città. Questa narrazione, sebbene affascinante e abbastanza aderente a livello storiografico, è fuorviante poiché oscura l’impatto devastante del narcotraffico sulle comunità rurali e indigene, costrette a lavorare in condizioni di sfruttamento estremo. Le figure dei narcotrafficanti, spesso rappresentate come antieroi, nascondono una realtà ben diversa: quella di oppressori che alimentano un sistema ultra-capitalistico a danno delle popolazioni più vulnerabili.
Un’altra domanda in merito a questo tema. Secondo lei, la serie tv Narcos ha una narrazione filoamericana degli eventi?
La serie Narcos offre una narrazione che semplifica alcuni aspetti cruciali. Il ruolo delle spie statunitensi, ad esempio, appare forse edulcorato e alleggerito dalle reali criticità. Similmente, la rappresentazione dei guerriglieri risulta distorta, presentandoli come alleati del narcotraffico, quando la realtà dei fatti è più complessa.
Un altro aspetto mancante è un’analisi approfondita del Plan Colombia, attuato dopo la morte di Escobar. Si tratta di un massiccio intervento economico statunitense degli anni ’90 che, pur avendo l’obiettivo di contrastare il narcotraffico, si è rivelato un fallimento perché la compravendita illegale di stupefacenti non ha subito variazioni. La serie accenna a questo tema, ma lo tratta in modo superficiale, senza approfondirne le implicazioni e le conseguenze.
In definitiva, Narcos non la definirei una serie filostatunitense, ma piuttosto una narrazione che mitizza la figura del narcotrafficante, trasformandolo in una sorta di eroe ribelle contemporaneo. Questa rappresentazione, tuttavia, rischia di oscurare la realtà, ovvero quella di un sistema criminale che riproduce, in modo ancora più violento, gli stessi schemi di oppressione che operano nei paesi latinoamericani.
Ora spostiamo la nostra attenzione sui due centri Bogotá e Medellín. La notorietà di queste due città è aumentata alla fine del secolo scorso a causa del narcotraffico, della violenza e della povertà, con i cartelli della droga che dominavano e un marcato divario sociale. La situazione è cambiata negli ultimi anni?
Bogotá e Medellín hanno storie piuttosto diverse. Bogotá è la capitale della Colombia, conta 10 milioni di abitanti, includendo anche la città metropolitana, ed è tre o quattro volte più grande di Medellín. Questo implica delle differenze anche strutturali. La grande trasformazione urbanistica che ha avuto risonanza nel mondo è la trasformazione della città di Medellín.
Medellin, considerata negli anni Novanta come una delle città più pericolose al mondo, ha compiuto negli ultimi decenni una straordinaria trasformazione urbanistica, economica e sociale. Questo processo l’ha resa una meta fortemente attrattiva, grazie anche al clima favorevole e allo sviluppo di un apparato turistico di qualità.
In particolare, Medellín ha attirato un numero crescente di “nomadi digitali”, ovvero professionisti che lavorano da remoto, attratti dalla qualità del clima, dal costo della vita relativamente basso e dal fuso orario che facilita le comunicazioni con il Nord America. Questa nuova ondata migratoria ha portato sia benefici, come un aumento del flusso di capitali, che sfide, come l’aumento del costo della vita in alcune zone della città e l’esclusione di molti abitanti originari, obbligati a spostarsi nelle periferie, rendendo così la città proibitiva per moltissimi colombiani.
Il turismo a Medellín presenta anche un lato oscuro. Oltre al turismo legato al lavoro da remoto, si è sviluppato un fenomeno noto come “narcoturismo”, legato al mito di Pablo Escobar e al passato criminale della città. Questo tipo di turismo, spesso associato al consumo di droghe a basso costo come la cocaina e allo sfruttamento della prostituzione nelle zone turistiche della città, è fortemente in contrasto con l’immagine moderna e dinamica che Medellín cerca di proiettare.
Medellín è una città che ha sì vissuto una rinascita sorprendente, ma deve ancora affrontare numerose sfide. La coesistenza di turismo, sviluppo economico e problematiche sociali come la prostituzione e l’esclusione sociale rendono la realtà di questa città complessa e contraddittoria.
Se Medellín ha vissuto una profonda trasformazione urbanistica e sociale, Bogotà ha seguito un percorso diverso. La capitale colombiana non ha sperimentato una riqualificazione urbana su larga scala, né ha sviluppato un sistema di trasporto pubblico efficiente. Di conseguenza, l’attrattiva turistica di Bogotà è minore rispetto a quella di Medellín, e la percezione di sicurezza è ancora un problema, sebbene le classifiche sulla criminalità siano spesso soggettive.
Tuttavia, Bogotà presenta dinamiche interessanti a livello locale. In diversi quartieri, soprattutto nelle periferie, stanno nascendo iniziative che propongo delle trasformazioni dal basso, promuovendo un turismo sociale e comunitario, anch’esso importato da Medellin, come la Comuna 13. Le comunità locali stanno perciò creando spazi di condivisione e partecipazione coinvolgendo università, attivisti e cittadini. Queste esperienze sono però più diffuse a Bogotà che a Medellin.

A questo proposito vorremmo parlare della gentrificazione della città di Medellín. Quali sono le conseguenze positive e negative di questo fenomeno e qual é l’impatto sulla popolazione?
La gentrificazione della città di Medellìn sta suscitando diverse reazioni nella popolazione locale. A differenza di altre città come Barcellona, dove il fenomeno è stato affrontato in modo più unitario; a Medellin la risposta è più complessa e stratificata ed è vissuta da una parte della popolazione come una sorta di meccanismo di invasione di matrice coloniale.
L’arrivo di nuovi residenti, molti dei quali provenienti dagli Stati Uniti e definiti gringos dai cittadini locali, viene percepito come una nuova forma, più subdola, di colonizzazione. Questa percezione è alimentata da diversi fattori.
Innanzitutto, i nuovi arrivati portano con sé un potere economico e sociale superiore, innescando una competizione per le risorse, facendo così aumentare i prezzi degli affitti e creando disparità economiche massicce.
Inoltre, l’identità culturale dei nuovi residenti viene contrapposta a quella degli abitanti originari, generando tensioni e risentimento. Infine, la proliferazione di alloggi turistici a breve termine sta modificando il volto delle zone centrali della città, costringendo molti abitanti di lunga data a trasferirsi in periferia.
Di fronte a questi cambiamenti, diverse associazioni locali si sono mobilitate per contrastare la gentrificazione, organizzando manifestazioni e boicottaggi di attività commerciali frequentate dai nuovi arrivati. Il governo locale, sebbene consapevole del problema, non ha ancora adottato misure concrete per affrontare la questione perché si tratta di un fenomeno di per sé molto recente, nato nella seconda parte della pandemia e sviluppatosi negli ultimi due anni.
Vorremmo approfondire il concetto di narcoturismo e la creazione del mito di Pablo Escobar. La sua popolarità è cambiata nel tempo?
In assenza di un movimento populista strutturato, il narcotraffico colombiano negli anni ‘80 ha colmato il vuoto politico, adottando strategie populiste per conquistare il consenso popolare a fini propagandistici. L’erogazione di servizi e benefici alle fasce più deboli della popolazione, come la costruzione di dimore per le classi meno abbienti, ha creato un legame complesso tra i narcotrafficanti e la comunità, generando un sentimento di gratitudine ma anche di preoccupazione.
La figura di Pablo Escobar incarna questa ambivalenza. Mentre all’interno di Medellín alcuni lo ricordano per i suoi interventi sociali, la percezione predominante, in Colombia e all’estero, è quella di un criminale violento e spietato.
La diffusione di serie televisive come Narcos ha amplificato questa immagine stereotipata, generando un turismo morboso, definito “narcoturismo”, che molti colombiani trovano offensivo e dannoso per l’immagine del Paese, proprio perché lo sguardo straniero tende ad associare come primo elemento identitario della Colombia la figura del narcotrafficante.
A Medellín, la complessità della figura di Escobar è ancora più evidente. La città cerca di superare il passato violento e cerca di promuovere un’immagine più positiva, ma l’eredità del narcotrafficante continua a influenzare l’identità locale.
Ora vorremmo spostare la nostra attenzione su Bogotá. Lei si occupa e collabora al progetto Breaking Borders con la popolazione locale di Barrio Egipto, quartiere posto alle periferie orientali della città. Può spiegare come è nato il progetto, quali sono i suoi obiettivi e cosa ha motivato la comunità a reagire alla miseria e alla violenza?
Il Barrio Egipto è un quartiere che si trova nella zona montuosa della città ed è una delle aree nate dalle migrazioni massive interne alla Colombia causate dal conflitto armato. Si parla di persone fuggite da zone rurali e obbligate a costruire case in forma illegale. Queste aree sono conosciute in Brasile come favelas mentre in Colombia ognuna di queste zone viene definita come quartiere informale.
Una parte del Barrio Egipto si erige sul suo passato storico coloniale, mentre l’altra parte è formata da alloggi non regolari. Il quartiere, trovandosi su un territorio montuoso e quindi isolato dal resto della città, ha sofferto processi di esclusione. Questo implica la mancanza di scuole, ospedali e diverse infrastrutture. Tutto ciò ha permesso quindi che in quest’area si stabilissero gruppi che esercitano microcriminalità attraverso estorsione, furti, rapine, attacchi armati di vario tipo per la compravendita di droga a livello locale.
Al culmine degli anni ’90, nel quartiere Barrio Egipto si è scatenata una feroce guerra tra quattro clan che operavano attivamente in questa parte della città, provocando la morte di mille persone, quasi tutte giovanissime. Questa guerra tra bande rivali ha portato l’arresto di numerose persone.

Alcuni ex leader delle fazioni coinvolte, dopo aver scontato la propria pena in carcere, hanno deciso di sfruttare la propria influenza per trasformare il quartiere, ispirandosi a un modello di successo già sperimentato anni prima nella Comuna 13 di Medellin, quartiere che ora i turisti possono visitare per osservare e conoscerne il processo di cambiamento.
Questi ex detenuti, essendo stati a capo dei rispettivi clan, godevano di un carisma e di un’influenza tali da riuscire a mobilitare la comunità. Questa loro autorità, radicata nel tessuto sociale del quartiere, si è rivelata fondamentale per il successo del progetto Breaking Borders. Queste figure hanno così coinvolto un gruppo di giovani, creando un vero e proprio movimento comunitario.
Breaking Borders ha aperto le porte del quartiere, un tempo considerato inaccessibile sia ai colombiani che agli stranieri, sfidando i pregiudizi del passato.
I residenti, attraverso un dialogo rappresentato da 30 murales, raccontano la storia del quartiere e le loro esperienze personali, come il crescere in un luogo segnato dalla guerra tra clan e il percorso che li ha portati a cambiare questa realtà. Un elemento distintivo del progetto è stata la collaborazione con l’Università Externado, che ha permesso ai residenti di approfondire la storia del quartiere e della città, acquisendo nuove conoscenze e competenze; non limitandosi a raccontare l’esperienza violenta vissuta, ma cercando di contestualizzarla, analizzandone le cause di esclusione e la trasformazione.
Il fattore più importante da tenere in considerazione è l’offerta di altri modelli da seguire per i giovani. L’incontro con persone rispettabili dimostra loro l’esistenza di alternative valide e le possibilità per costruire un futuro diverso. Questo è sicuramente un modello comunitario che permette la costruzione di nuovi percorsi di vita per tutte le persone escluse dalla società.
Questo progetto sta riscontrando successo, possiamo parlare quindi di una vera e propria rivalsa per la popolazione?
Sì, come accennato in precedenza, c’è stata innanzitutto una grande riduzione dei tassi di omicidi e atti di criminalità, nonostante non tutto il quartiere abbia aderito a questo progetto. Infatti, ci sono state diverse tensioni interne e ci sono ancora persone che si dedicano esclusivamente a compiere atti illegali. La parte del quartiere che ha aderito a Breaking Borders, invece, sta vivendo una trasformazione ed è un esempio anche per le altre zone del quartiere con cui era storicamente in conflitto. Quindi sì, l’impatto positivo è visibile anche perché una parte delle entrate vengono reinvestite per costruire infrastrutture all’interno del quartiere stesso.
Parlando delle nuove generazioni, negli ultimi anni abbiamo assistito a un grande coinvolgimento dei giovani nella vita politica e sociale di molte nazioni. È avvenuto lo stesso a Bogotà? Quali sono le principali sfide che affrontano i giovani e gli studenti in questo contesto?
Sicuramente quanto avvenuto nel 2021, vale a dire, le grandi manifestazioni contro il governo precedente, ha attivato e unito diverse istanze e movimenti giovanili all’interno della città e, soprattutto, ha messo in dialogo movimenti in apparenza molto lontani tra loro come i movimenti delle periferie urbane, i movimenti dei migranti indigeni e i movimenti afro-colombiani. Tutti questi movimenti hanno richieste diverse e, insieme agli studenti, si sono uniti nel 2021 per cercare di avere una visione comune delle singole istanze.
Un fatto emblematico, spesso oggetto di dibattito e a volte di critiche, è l’abbattimento delle statue dei conquistatori spagnoli. A volte questa azione viene tacciata come cancel culture ma, a mio avviso, è in realtà un intervento nella storia, una messa in discussione dei simboli scelti dal potere politico e storico. Quindi, è una possibilità per questi gruppi storicamente emarginati della Colombia di riscrivere il territorio a partire da simboli diversi che possano rappresentarli. Questo è un caso specifico che però in Colombia ha avuto grande rilevanza e risonanza e che mi piace menzionare.
In generale, le rivendicazioni dei movimenti urbani sono in primis rivendicazioni economiche contro queste grandi separazioni tra le classi alte e le classi basse della città. Infatti, in Colombia funziona ancora la logica dello strato, che è molto difficile da spiegare ai non addetti ai lavori. Consiste nell’assegnare ad ogni via della città uno strato che va da 1 a 6 e che stabilisce la classe economica di quella via. In base a questa logica con il numero 1 si identifica lo strato più basso e con 6 il più alto. Tutti questi meccanismi vengono segnalati dai vari movimenti.
Altro grande tema che ha rilevanza nel dibattito politico è quello della migrazione venezuelana perché Colombia e Venezuela sono due popoli culturalmente molto vicini tra loro. Negli anni ‘80 si è verificata un’immensa migrazione colombiana verso il Venezuela e negli ultimi anni si è verificato un movimento contrario con due milioni di venezuelani approdati in Colombia. Si sono alternate politiche di integrazione a politiche di discriminazione e anche in questo caso i movimenti urbani spesso operano per favorire l’integrazione.

Soffermandoci sempre sulle nuove generazioni: quali sono i mezzi di denuncia sociale utilizzati dai giovani? Ci sono forme di aggregazione giovanile? Sono nate delle sottoculture in questi ultimi anni?
Riguardo ai mezzi di comunicazione, sicuramente un fenomeno interessante evidenziato dalle proteste del 2021 è stata la documentazione via social media del movimento di protesta sociale.
Varie testimonianze e informazioni, a cui i giornalisti non sarebbero potuti arrivare a causa delle forti tensioni interne, sono giunte dai manifestanti e, in seguito, impiegate come prove giuridiche di abuso di potere ai danni dei dimostranti.
Per quanto riguarda invece movimenti o sottoculture, un grande riferimento che ha avuto risonanza in Colombia ultimamente sono state le comunità indigene; formatesi da popolazioni che vivevano in America prima dell’arrivo degli spagnoli, e che, ad oggi, mantengono ancora le proprie lingue e le proprie usanze. Infatti, con l’avvento delle proteste del 2021, queste comunità, estremamente organizzate a livello sociale e politico, sono riuscite a divenire un modello anche per i movimenti urbani i cui attivisti solitamente hanno logiche meno comunitarie.
Un altro grande riferimento dell’attivismo sociale e politico colombiano sono le madri dei falsi positivi. Nel contesto del conflitto armato colombiano culminato nei primi anni 2000, lo stato chiedeva l’uccisione di molti guerriglieri e l’esercito, assecondando questa richiesta, uccideva bersagli casuali per aumentare i numeri delle presunte vittime guerrigliere. In seguito, l’esercito vestiva i cadaveri con uniformi militari per farli passare come combattenti nemici. Questo fenomeno è stato portato alla luce grazie alle madri delle persone scomparse che poi venivano identificate come guerriglieri. A seguito di questa tragedia, si è creato un vero e proprio movimento, MAFAPO (Madres Falsos Positivos). Queste donne coraggiose, che hanno perso i propri figli in circostanze atroci, hanno deciso di non rimanere in silenzio e di denunciare le responsabilità dello Stato. La loro testimonianza è sicuramente un grande modello di coraggio per la costruzione della pace che è il grande tema di cui si dibatte maggiormente in Colombia negli ultimi anni.

Ha dei consigli di letteratura, cinema, musica, arti visive e performative da consigliare per poter approfondire le tematiche che abbiamo affrontato in questa intervista?
Una premessa a questa risposta: se è vero che in Colombia ci sono tante forme di violenza è altrettanto vero che esistono diverse forme di resistenza e di costruzione di pace che possono essere dei modelli per il resto del mondo.
In questo senso, consiglierei sicuramente un documentario relativo alla questione dei “falsi positivi” che è molto peculiare ed è stato realizzato da Simone Bruno, un giornalista italiano, il cui titolo è Falsos Positivos.
Riguardo la musica, vale la pena menzionare quella di matrice afro-colombiana che spesso porta con sé grandi messaggi di pace, in particolare la musica del gruppo ChocQuib Town.
In merito alla letteratura, per riuscire a padroneggiare in maniera imparziale il problema della violenza in Colombia, l’autore di riferimento è Evelio Rosero.
Infine, un film che si trova anche in lingua italiana sulle varie piattaforme e che affronta la questione del narcotraffico da una prospettiva differente è Oro verde – C’era una volta in Colombia. Questo film esplora il tema dal punto di vista delle popolazioni indigene che subiscono l’impatto del potere dei narcotrafficanti, trovandosi costrette a aderire o a resistere.
Approfondimenti
- Dalle bande che terrorizzavano Bogotà al turismo sociale: la storia di Breaking Borders – https://www.tpi.it/esteri/breaking-borders-storia-bande-terrorizzavano-bogota-turismo-sociale-20200504596366
- Gentrificazione a Medellìn e il fenomeno dei nomadi digitali – https://theworld.org/stories/2024/01/04/medell-n-was-one-world-s-most-dangerous-cities-now-its-trying-grapple-influx
- Gli indigeni che combattono il narcotraffico – https://stories.visualeyed.com/colombia/
- Migranti sulla “rotta del demonio”, per un posto in paradiso – https://ilmanifesto.it/migranti-sulla-rotta-del-demonio-per-un-posto-in-paradiso
- «¡Sì se pudo!», Bogotà festeggia l’insediamento di Petro – https://ilmanifesto.it/si-se-pudo-bogota-festeggia-linsediamento-di-petro
- Le ultime ore di Mario Paciolla raccontate da chi era con lui: reportage da San Vicente del Caguan, tra domande e omertà – https://www.tpi.it/esteri/mario-paciolla-colombia-reportage-ultime-ore-di-vita-20200911662647/
Le foto presenti nell'articolo sono state fornite da Simone Ferrari.
Per citare questo articolo
Bianchessi, Veronica e Labanca, Martina. “Colombia in Movimento: Cronache di un Paese in Trasformazione. Intervista a Simone Ferrari”, Geolitterae. https://geolitterae.unimi.it/2024/09/04/colombia-in-movimento-cronache-di-un-paese-in-trasformazione/