Voci dalla Cina: la scrittura femminile tra censura e libertà di espressione

Intervista a Daniela Licandro

A inizio settembre, abbiamo avuto il piacere di confrontarci con la Dott.ssa Daniela Licandro, ricercatrice di letteratura e cultura cinese presso l’Università degli Studi di Milano. In questo dialogo senza confini ci addentreremo nel mondo della letteratura moderna cinese e non solo…

Per iniziare, volevamo chiederle di presentarsi e di fare un breve excursus circa la sua formazione nonché le sue aspirazioni future.

Sono una studiosa di letteratura moderna cinese, ma mi occupo ampiamente anche di studi di genere e cultural studies. Mi sono avvicinata alla lingua e alla letteratura cinese quando ero una studentessa universitaria. Ho studiato presso l’Università degli studi di Napoli l’Orientale, conseguendo una laurea triennale ed una laurea specialistica in letterature comparate con una specializzazione in lingua cinese e lingua inglese ed è stato proprio in quel contesto che ho cominciato ad avvicinarmi alla letteratura. In quegli anni alternavo periodi di studio a Napoli con frequenti visite in Cina dove seguivo corsi di formazione incentrati soprattutto sulla lingua.  Successivamente ho conseguito un master in studi cinesi alla Leiden University, in Olanda: Leiden ha rappresentato una svolta, in quanto ha costituito un vero e proprio risveglio intellettuale, gettando le basi per la mia esperienza successiva di dottorato, in letteratura moderna cinese, negli Stati Uniti.  In quel periodo ho ampliato la mia formazione grazie allo studio della letteratura giapponese. Poco prima di rientrare in Italia nel contesto della pandemia, ho trascorso un periodo in Cina, lavorando come docente e lettrice di lingua e cultura inglese nel dipartimento di inglese alla Shenzhen University. Attualmente, sono ricercatrice a tempo determinato presso l’Università degli Studi di Milano.

Volevamo chiederle di raccontarci la sua esperienza con la ricerca.

Vi racconto la mia esperienza con la ricerca, esperienza piuttosto variegata: ho cominciato negli anni della specialistica ad occuparmi di modernismo letterario; quindi, parliamo del periodo tra gli anni Venti e Trenta. Uno dei principali interessi è stato capire come possiamo leggere l’incontro fra elementi disparati, quali: elementi indigeni, autoctoni ed esterni. Questo interesse nasce dal fatto che questo modernismo cinese, o modernismi (molti preferiscono enfatizzare la pluralità delle forme moderniste in Cina), è anche frutto di una certa esposizione da parte della Cina alla cultura, alle forme, ai generi letterari e alle idee che provenivano da altri luoghi come l’Occidente e il Giappone (Western impact Chinese response).

La Cina di quegli anni viveva una difficoltà: quella di dover resistere all’aggressione straniera, quindi giapponese e occidentale contemporaneamente, e in un certo senso cercava in quei paesi più forti dei modelli per ricostruirsi. Possiamo dire che il paradigma a lungo dominante negli studi sulla Cina è stato questo del Western impact Chinese response, però si tratta di un paradigma un po’ riduttivo, nel senso che tende ad enfatizzare il viaggio, ovvero la dimensione unilaterale del rapporto tra la Cina e “l’altro”, sottolineando soprattutto la posizione quasi passiva della Cina, rispetto a ciò che veniva dall’esterno. 

C’è qualche progetto, a cui ha lavorato o a cui conta di lavorare, che le farebbe piacere condividere con noi?

Quello che ho cercato a lungo di esplorare e reinterpretare è la dimensione dinamica del rapporto con “l’altro”. Il prodotto, infatti, non è né l’uno né l’altro, ma sempre qualcosa di diverso, che non si può eguagliare né alla matrice occidentale, né tantomeno alle forme tradizionali. Questa è stata una delle tematiche importanti a cui ho lavorato. 

Quando ho iniziato a scrivere la tesi di dottorato, ho riorientato la ricerca verso il periodo socialista, che rimane uno dei filoni e delle tematiche centrali del mio lavoro, anche attuale, decidendo di concentrarmi sulla intersezione della pratica dell’autocritica e le forme dei generi autobiografici in epoca socialista. 

Quindi, cos’è l’autocritica?  Potremmo paragonarla, anche se è un paragone forse non del tutto felice, alla confessione. Tale pratica, che i cinesi erano chiamati a svolgere, consisteva nell’auto-esaminarsi criticamente ricercando, nei propri pensieri e nel proprio comportamento, degli errori, dei limiti che successivamente venivano interpretati in termini ideologici. Individuare gli errori era la premessa per poterli correggere trasformandoli in soggetti socialisti corretti. Quindi si tratta di una pratica e, facendo riferimento alle teorie di Foucault, di una sorta di tecnologia del potere, di assoggettamento e di costruzione dei soggetti, che è stata sempre un po’ tralasciata nel contesto letterario in quanto considerata una pratica politica.  Di questi testi ne vennero prodotti tantissimi. Tutti erano chiamati a fare autocritica, quindi se all’inizio questa pratica riguardava soprattutto gli intellettuali e i quadri di partito che dovevano rettificarsi, riformarsi, tenere sotto controllo i propri pensieri, la propria ideologia, successivamente, questa pratica si diffuse in tutti i gruppi sociali, soprattutto dopo la Fondazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC) dopo il 1949. In questo modo, si arrivò a quella che la professoressa Jie Li ad Harvard ha definito una vera e propria grafomania: tutti quanti scrivevano tantissimo, il che potrebbe sembrare un paradosso poiché siamo nell’epoca della collettivizzazione, periodo in cui l’accento era posto sul “noi”, sulla collettività; invece, ci troviamo di fronte a questo straordinario fenomeno di scrittura dell’io esteso a tutti i livelli.  

Negli anni Cinquanta, il settore editoriale del governo, che era regolato e controllato dalle autorità, mise in circolazione una grande quantità di manuali su come scrivere e su come fare questa autocritica. Ed è interessante che questi manuali circolavano parallelamente ad altri su come scrivere l’autobiografia, il diario; quindi, la chiamata a raccontarsi e ad auto esaminarsi divenne una pratica molto comune. 

Ecco, la mia tesi, esamina proprio questa intersezione fra la pratica dell’autocritica come un genere di scrittura e le altre forme autobiografiche a partire dagli anni Cinquanta fino all’inizio degli anni Ottanta, con una particolare attenzione alla scrittura delle donne. È in questo contesto, il contesto della mia dissertazione, che mi sono poi avvicinata moltissimo agli studi di genere e alla scrittura femminile, la quale continua ad essere un mio interesse centrale. 

Successivamente, anche al di fuori del contesto prettamente socialista, questa formazione ha dato origine a tutta una serie di ricerche come, per esempio, i miei studi sulla rappresentazione della malattia nella scrittura autobiografica femminile in Cina sia nell’epoca socialista ma anche nell’epoca post-socialista. Prossimamente uscirà un mio saggio su un memoir di una scrittrice cinese contemporanea, Li Lanni (1956-), memoir sulla depressione. La scrittrice racconta di questa sua esperienza con la depressione, una malattia di cui si parla pochissimo in Cina perché altamente stigmatizzata, ed io ho analizzato solo il primo di una serie di memoir che lei ha prodotto su questa esperienza.  

Inoltre, mi sono anche occupata di realismo letterario. Recentemente ho partecipato al convegno dell’Associazione Europea per gli Studi Cinesi, a Tallinn. Proprio al convegno, ho presentato uno studio su un romanzo di fine Ottocento sul rapporto tra la rappresentazione dello spazio e la costruzione di quella che definisco una forma di realismo affettivo. Mi sono occupata di realismo nell’epoca socialista, in quel genere definito “Socialist realism”, il realismo socialista, che è una versione leggermente diversa del realismo “europeo” che immaginiamo in stile mimetico. Il realismo socialista è invece legato alla creazione di personaggi stereotipati, buoni e cattivi, sulla falsariga del realismo socialista sovietico.

Questo per illustrarvi il mio lavoro negli ultimi anni, dei miei interessi abbastanza diversificati, partendo dal realismo-modernismo, passando per le questioni di embodiment nella scrittura delle donne, i life writing, arrivando alla scrittura autobiografica, e non solo. 

Foto del campus della Shenzhen University. C'è un piccolo lago all'interno, quest'ultimo circondato da altissimi palazzi.
Campus della Shenzhen University

Qualche attimo fa ha parlato di modernismo letterario cinese. Se volessimo darne una definizione, iniziando a capire da quando se ne parla e se ha subito qualche influenza dall’esterno, cosa potrebbe raccontarci? 

È una domanda molto complessa perché parliamo di fenomeni complessi. Parlando di questo mio lavoro sul modernismo cinese ho detto che spesso si predilige il termine plurale “modernismi” perché non esiste una scuola univoca, uniforme di modernismo in Cina. La questione del modernismo letterario storicamente, tradizionalmente, sempre parlando nel contesto degli studi sulla Cina, si fa risalire agli anni Venti o alla fine degli anni Dieci, quindi, a quel contesto di riformismo, di trasformazione che ha caratterizzato la Cina in tutti gli ambiti, da quello politico, intellettuale, sociale, a quello letterario e ovviamente culturale. 

Il testo che a lungo è stato considerato come fondatore di una forma di modernismo, o più nello specifico di una scrittura modernista, è il famoso Diario di un pazzo di Lu Xun. È stato letto in chiave modernista perché la prospettiva di scrittura di una persona malata, ha degli elementi estremamente moderni.  Ma la questione del modernismo in Cina è molto più complessa e controversa direi, perché se esiste, da una parte, questa lettura, questa visione che colloca l’inizio del modernismo letterario in Cina negli anni Venti, ne esiste anche un’altra più recente che invece cerca di anticipare l’inizio del modernismo e della modernità cinese. Modernismo e modernità sono due termini legati l’uno all’altro; nonostante rappresentino due concetti diversi: la modernità si intende come fenomeno storico che riguarda molti ambiti, mentre il modernismo (letterario) costituisce una risposta alla modernità. 

La storia cinese è unica, non è totalmente comparabile a quello che è stato il percorso europeo, e quindi, come ho detto, se molti hanno situato l’inizio di questo modernismo letterario negli anni Venti, molti altri hanno tentato di anticiparlo e di collocare l’inizio di questa sperimentazione a livello letterario alla fine dell’Ottocento, contesto di grandi trasformazioni. L’emblema di questa modernità cinese di fine Ottocento è la città di Shanghai e la sua produzione culturale. In particolare di questo ho parlato a Tallinn qualche giorno fa e, sebbene questi romanzi che emergono in questi anni siano meno legati alla produzione e alle tradizioni che provengono dall’esterno, ai romanzi occidentali, mostrano comunque un impulso all’innovazione,  alla trasformazione che alcuni studiosi, per esempio mi viene in mente David Wang, di Harvard, hanno definito una sorta di “modernità incipienti”, quasi nascenti, sebbene forse poi molte di queste modernità che si sviluppano in questi testi- queste nuove sperimentazioni stilistiche, tematiche-verranno soppresse, perché prenderà il sopravvento una forma di modernismo, di scrittura modernista, proprio negli anni Venti, che si rifà più esplicitamente ai modelli occidentali. Quindi la situazione è controversa.Teniamo presente che qui parliamo sempre di periodizzazione, sia nel contesto storico ma anche quello della storia letteraria, che è comunque una convenzione; sono delle costruzioni che noi creiamo a posteriori, dopo che gli eventi sono accaduti per collocarli in una linea diacronica, per cercare di comprendere fenomeni complessi; quindi, è chiaro che queste periodizzazioni operano delle semplificazioni. Pertanto, rimane un po’ aperta la problematica della periodizzazione del modernismo, ma senz’altro il rapporto e i contatti con mondi “altri” dalla Cina è stato fondamentale per dare un nuovo impulso alla letteratura, tanto alla fine dell’Ottocento quanto nei decenni successivi. Già a fine Ottocento la Cina ha potuto sperimentare l’incontro con letterature “altre”. Fu un momento in cui tantissimi testi che provenivano dall’Europa, attraverso le traduzioni giapponesi, vennero tradotti in cinese, incluse delle forme di science fiction. Successivamente, gli anni Venti e Trenta saranno un momento importantissimo per la diversificazione degli stili letterari e per le sperimentazioni. Shanghai, come già a fine Ottocento, continua ad essere l’icona della modernità coloniale e del realismo economico; è la città che affascina, attira, seduce, ma, al contempo, è anche la città della perdizione, della decadenza. Lo era a fine Ottocento e continuerà ad esserlo anche dopo.  Shanghai è la città in cui nasceranno le caffetterie, i teatri occidentali, dove si suonerà il jazz negli anni Trenta, dove circoleranno le idee più disparate, legate a queste nuove correnti occidentali, come per esempio, il dadaismo e il surrealismo.

Rispetto a quanto detto sui gender studies, vorremmo concentrarci sull’ambito della scrittura femminile. Vorremmo sapere quali sono le tematiche più affrontate, capendo anche in che modo la scrittura femminile riesca ad inserirsi nella realtà cinese.

Farei innanzitutto una premessa sul tema della scrittura femminile. Per parlare di scrittura femminile è stato utilizzato il termine “女性文学” (nüxing wenxue), però possiamo immaginare che non sia un genere omogeneo, in quanto bisogna operare delle distinzioni, delle specificazioni. Per esempio, può essere molto diversa, anche a livello di preoccupazioni tematiche, la scrittura della donna lavoratrice, che si sposta, magari anche con un certo grado di educazione, dalle campagne alle città per lavorare. Il fenomeno della letteratura delle lavoratrici migranti o migrant workers, “农民工” (nóngmín gōng), venute dalle campagne è molto studiato in questo momento, ma la loro prospettiva è probabilmente diversa rispetto alle ragazze che hanno studiato all’università o alle donne che hanno vissuto nel contesto urbano. Quindi, la questione di classe, background sociale, luogo di origine, aggiungerei persino di appartenenza etnica, sono variabili importanti che influenzano senz’altro non solo lo stile, ma anche i temi di cui queste donne si occupano, che sono centrali nella loro scrittura.

Volgendo lo sguardo indietro, all’intero Ventesimo secolo, pensando alla Cina moderna collegata a questo periodo, la storia della scrittura femminile è molto complessa ed è legata e determinata dalle vicende storiche specifiche. Sicuramente esiste una letteratura femminile se pensiamo a questa come ad uno spazio in cui la donna fa i conti con la propria soggettività in determinati momenti storici, quindi il concetto di situatedness, ovvero di essere ben situata in un contesto storico, è fondamentale per comprendere il tipo di intervento che ciascuna donna fa in un certo momento storico attraverso la scrittura. Ma questi interventi non sono slegati da quelle che sono le ambizioni personali e le aspettative sociali in quel momento storico. Per fare un esempio più chiaro: se pensiamo all’inizio del secolo, mi viene in mente questo libro di Wendy LarsonWomen and Writing in Modern China.

Come ci spiega Larson, ma anche Dorothy Ko e altre studiose, le donne hanno sempre scritto e ci sono tantissimi studi al riguardo, ma è anche vero che la scrittura delle donne non poteva essere pubblicata così com’era, circolava all’interno di cerchie ristrette o veniva pubblicata attraverso il nome di un uomo. La donna ha l’opportunità di diventare scrittrice professionista solo nel Ventesimo secolo; questo è un dato di fatto. All’inizio del secolo, in quel contesto di riformismo, spesso associato al movimento del 4 maggio, diventato una sorta di formula che ci aiuta a collocare e identificare questo momento storico di dinamismo culturale e l’emergente cultura iconoclasta, che rigetta il mondo tradizionale e ricerca di nuovi stimoli, nuovi concetti, soprattutto di matrice occidentale -la donna cerca di emanciparsi. Questa era sicuramente una delle preoccupazioni principali delle donne che scrivevano negli anni Venti. Questo significava anche avere la possibilità di lavorare nel mondo pubblico, uscire dallo spazio domestico.

Per la scrittura femminile di questi anni mi viene in mente Ding Ling (1904-1986), oppure Lu Yin (1898-1934), che raccontano di queste difficoltà della donna per conquistare questo spazio pubblico ed è interessante appunto l’argomentazione di Wendy Larson nel suo libro, un classico degli studi letterari del periodo e del genere; nelle storie e nei racconti di queste scrittrici il personaggio femminile si trova spesso a confrontarsi con il dilemma di dover scegliere tra la vita domestica, quindi sposarsi e fare dei figli, come si aspetta la società, e il proseguire gli studi, con l’elevazione dello spirito e una crescita intellettuale. Nella maggior parte dei casi in queste storie è sempre una scelta, cioè queste due dimensioni dell’esistenza non riescono a conciliarsi: diventare scrittrice implica la rinuncia di altri aspetti e possibilità di vita. Dunque, si trovano in questa condizione in cui lo spazio pubblico non è scontato, non è conciliabile da un punto di vista sociale con la vita domestica, con il ruolo che la donna dovrebbe svolgere all’interno della famiglia. La donna è ancora chiamata a svolgere quel ruolo anche alla luce delle esigenze nazionali del momento, come costruire uno stato forte a fronte delle incursioni straniere. Ciò significava anche costruire cittadini in grado di prendersi cura di questo nuovo Paese. Tale ruolo indirettamente ricade sulle donne in quanto riproduttrici. Questa situazione cambierà successivamente quando in epoca comunista il ruolo della donna è più riconosciuto, anche dalla Costituzione. Ma il problema di come conciliare il lavoro pubblico, quindi la partecipazione alla rivoluzione (spesso queste donne diventavano quadri di partito, collaboravano con l’esercito, soprattutto prima del ’49, durante la formazione di questa nuova società, nei primi anni poi della Repubblica) con la gestione della propria famiglia, era ancora presente, nonostante le donne non dovessero più combattere per la loro indipendenza come in passato. Alcuni storici lo definiscono il “double burden”, cioè doppio fardello, per le donne, molto spesso non riconosciuto.

Si tratta di un tema che emerge con grande forza in questi diari di epoca socialista che ho studiato a lungo, i diari della scrittrice Yang Mo (1914-1995), in cui racconta delle difficoltà, della malattia. Nel raccontarsi, parla anche del suo desiderio di dedicarsi quasi interamente a questa rivoluzione, alla costruzione dello Stato socialista. Lei sente che la famiglia e i figli sono un po’ un intralcio, lei infatti fu una di quelle che i figli li lasciò un po’ andare.

Vediamo come la scrittura riflette ambizioni personali, sempre legate a problematiche che hanno a che vedere con le condizioni specifiche delle donne in un certo momento storico e costantemente in relazione con la realtà esterna e le pressioni provenienti dall’esterno, ovvero le formazioni discorsive di un certo momento storico. Questa sua narrazione della malattia è particolarmente interessante perché l’aspettativa in epoca socialista è che tutti lavorassero e fossero estremamente produttivi. In un contesto in cui essere produttivo è un valore della persona, la malattia è percepita e vissuta in maniera molto diversa rispetto ad un contesto dove questa pressione sulla produzione è meno sentita.

L’esperienza della donna e la narrazione di queste esperienze, non può essere separata dalla situazione del momento, dalle aspettative e dai discorsi sociali, politici, persino medici con cui in quel momento le donne dovevano fare i conti. Proprio per questo, dal punto di vista del metodo di analisi nella lettura di queste scritture femminili, i metodi degli studi di genere sono sempre stati utili; soprattutto le prospettive dell’embodiment, perché consentono di gettare luce su questa dinamica tra l’individuo inteso come corpo-mente e la realtà esterna. La prospettiva di genere consente di superare quelle che sono le logiche binarie che tradizionalmente caratterizzano il corpo-mente, oppure uomo-donna, interno-esterno, consentendo invece di volgere lo sguardo a quelle che sono le strategie di negoziazione che queste donne mettono in atto in un determinato momento storico per sopravvivere, ma anche per agire e trasformarsi in “agents”, soggetti che hanno una capacità di azione, resistendo ai sistemi oppressivi che cercano di bloccarle, manipolarle e opprimerle, ma dall’interno; operano queste strategie dall’interno del sistema. Questa è la prospettiva che caratterizza il mio metodo di analisi.

Concludo menzionando quello che sarà il mio progetto futuro, che prende spunto da tutto quello che ho fatto in questi ultimi anni. Sono proiettata a studiare approfonditamente delle scritture autobiografiche, dei memoir di diverse donne cinesi, scritti a partire dagli anni Cinquanta, che sono spesso emersi dopo, negli anni Ottanta, in cui narrano esperienze personali legate a processi legali. Molte di loro sono state esiliate in zone remote per essere riformate attraverso il lavoro, in campi di lavoro. Il mio obiettivo, dunque, è quello di lavorare su questi testi, cercando di comprendere come queste donne articolano queste esperienze e come le ricordano; il tema della memoria diventa fondamentale, si intreccerà con le questioni dell’embodiment e della sofferenza. Tutti i temi sviluppati in passato verranno ripresi e si intrecceranno con il tema della memoria e questa prospettiva sarà centrale in questo nuovo studio.

Foto scattata nello Yunnan, Cina. Rappresenta le condizioni di vita di alcuni paesi meno sviluppati.
Yunnan, Cina

Abbiamo detto che la scrittura femminile, in generale, è soggetta a delle politiche restrittive, ma in che modo queste ultime vengono percepite dalle donne cinesi, soprattutto in riferimento alla letteratura?

La letteratura viene considerata un campo “speciale”, perché scrivere, soprattutto se si scrive narrativa, consente di aggirare la censura e di denunciare certi fenomeni o forme di oppressione senza essere troppo espliciti. A tal proposito mi vengono in mente alcuni interventi a cui ho assistito a Tallinn, al convegno della EACSEuropean Association for Chinese Studies, in cui varie studiose hanno presentato alcune opere di science fiction contemporanee, mostrando quanto questo sia un genere così eterogeneo da offrire possibilità varie anche per esplorare problemi come l’oppressione delle donne, la discriminazione e la violenza di genere. Questi testi, attraverso denunce velate e non così esplicite, riescono a sopravvivere alla censura. La letteratura offre uno spazio particolarmente fertile per affrontare certi temi, promuovere una certa sensibilità femminista, ma in maniera forse meno diretta, attraverso il racconto, la narrazione, lo storytelling, che richiedono una lettura ravvicinata ed un certo tipo di riflessione per poter essere captati. E quindi l’attivismo letterario è un po’ diverso da quello “della performance per le strade”, che ha un impatto più diretto e quindi delle conseguenze maggiori.

Esiste sicuramente una censura letteraria, ma opera in casi molto espliciti, e le scrittrici, consapevoli di queste politiche restrittive, sanno come autocensurarsi, come elaborare delle narrazioni che cercano di affermare una posizione liberale su certi argomenti, ma senza una denuncia diretta. Mi vengono in mente alcuni testi che sono stati censurati, a causa di riferimenti diretti a degli eventi o delle questioni particolarmente sensibili nel contesto cinese. Un esempio è un testo di Sheng Keyi (1973- ), in quanto, nei suoi romanzi, fa dei riferimenti abbastanza ovvi ai fatti di Piazza Tienanmen in Cina, argomento che costituisce ancora oggi un tabù e non è stato accettato. Ne consegue che sapersi autocensurare è particolarmente importante. Tre anni dopo la salita di Xi Jinping, nel 2015, ho avuto modo di interfacciarmi con persone che si occupano di cinema, di scrittura e narrativa; mi hanno raccontato delle nuove restrizioni nel contesto della cinematografia e di come, secondo loro, la soluzione fosse quella di adeguarsi alle restrizioni, altrimenti le produzioni non sarebbero mai arrivate nelle sale cinematografiche. La scelta è quella di “negoziare”, venire ad un compromesso con quelle che sono le richieste delle autorità, ma questo compromesso non implica necessariamente una totale sottomissione. La risposta è, quindi, sempre la negoziazione per crearsi uno spazio di azione piuttosto che essere totalmente silenziati.

Manifestazione per il movimento #MeToo in Cina
Manifestazione per il movimento #MeToo

Ricollegandoci a quanto detto prima circa la censura, l’attivismo e le donne, cosa ci può dire del Movimento #MeToo in Cina?

Il Movimento #MeToo è sorto a seguito di un intervento di una famosa attrice negli Stati Uniti, Alyssa Milano, nel 2017. Questa espressione è stata utilizzata, in prima battuta, dall’attrice per denunciare eventi di abusi sessuali e, in un secondo momento, quest’ultima ha sollecitato le donne ad usare questo hashtag su Twitter per parlare delle proprie esperienze di violenza sessuale. Il caso che ha dato inizio al #MeToo in Cina è quello di Luo Xixi, un’ex studentessa di un’università pechinese che, nel leggere di questo fenomeno #MeToo, trova il coraggio di raccontare, nel suo blog online, di una molestia sessuale subita circa quindici anni prima per mano di un professore all’Università di Pechino. Il caso ebbe grandissima visibilità, ma il motivo per cui questa vicenda ebbe un esito positivo è interamente legato al fatto che lei riuscì a raccogliere molte prove, soprattutto grazie alla collaborazione con alcune avvocatesse molto sensibili alla tematica. 

Successivamente si fecero avanti altre donne che avevano subito violenza da parte dello stesso docente in quella università. Si è innescata una reazione a catena che ha portato molte donne a denunciare tantissime figure del mondo dello spettacolo, figure importanti all’interno di aziende imprenditoriali, ma anche figure di spicco all’interno di organizzazioni NGO e quindi non profit, filantropiche e religiose.  In questo contesto, ciò che ha giocato a favore delle attiviste, è stata la possibilità di usufruire di alcuni strumenti tecnologici quali i blog, i social media. Questi strumenti hanno sempre dovuto fare i conti con la censura ma, ciononostante, le denunce delle donne sono riuscite a raggiungere il pubblico più ampio e uno dei risultati più importanti è stato quello di sensibilizzare le persone alla tematica della violenza di genere in tutte le sue forme: dalla violenza sessuale a quella domestica ad esempio.

Questo attivismo ha gettato luce sul fatto che la violenza di genere va letta in relazione a tutta una serie di altre forme di discriminazione e di oppressione che si formano lungo vari assi, quali quello del genere, della classe, dell’etnia e dell’età. Parliamo, quindi, di un fenomeno complesso che, però, ha perso un po’ di vigore alla fine del 2019, per poi andarsi a spegnere quasi completamente con l’avvento della pandemia. Di conseguenza l’hashtag #MeToo ha cominciato ad essere usato sempre meno, però non è sparita l’urgenza di denunciare; le donne hanno continuato a denunciare gli abusi e i loro carnefici.

#MeToo nasce come un movimento transnazionale e, pur non avendo dei risvolti nazionali specifici, in Cina ha trovato terreno fertile perché negli anni precedenti già c’erano state donne che si erano mobilitate attorno a queste problematiche, soprattutto quelle che riguardano la molestia sessuale e la violenza domestica, ponendo tanta pressione sul governo e sull’opinione pubblica. Esisteva già una storia di attivismo e di femminismo che ha consentito poi, al movimento #MeToodi fiorire senza troppe difficoltà. 

Sempre in merito al #MeToo, oltre al primo caso, che ha poi dato il via a tutto il movimento, c’è stato qualche altro caso che ha fatto veramente tanto rumore nell’opinione pubblica?

Ci sono tantissimi casi ma vorrei citarne uno in particolare perché ha avuto troppa poca visibilità nel contesto dei media occidentali. I media occidentali hanno eccessivamente politicizzato il movimento in Cina e quindi si sono concentrati su quei casi che permettevano ai media cinesi di denunciare l’oppressione del governo nei confronti delle donne; si faceva, quindi, leva su ciò che faceva comodo agli occidentali per dare un’immagine del mondo occidentale come più libero e meno oppressivo, oscurando però quei casi che avrebbero problematizzato il quadro. 

È il caso, per esempio, di Wei Jingsheng (1950- ), un famosissimo dissidente cinese, famoso per il suo coinvolgimento nel movimento studentesco in Cina negli anni Ottanta, in quanto era uno dei promotori del concetto della quinta modernizzazione. È diventato, nel mondo occidentale, l’icona del movimento democratico in Cina e poi si è trasferito negli Stati Uniti, protetto dalla società occidentale. È stato denunciato da una donna durante gli anni del movimento #MeToo, con l’accusa di averla stuprata e di averla messa incinta. Sebbene l’accusa fosse fondata, il caso è stato totalmente oscurato dai media occidentali in quanto scomodo e sconveniente, perché Wei Jingsheng rappresentava il baluardo delle libertà, delle posizioni liberali e democratiche.

Si potrebbe dire che il movimento #MeToo abbia dato origine ad un fenomeno di appropriazione dello spazio urbano da parte delle donne, inteso sia a livello di manifestazioni e raduni di queste ultime, sia in senso virtuale, con lo scalpore provocato sui social media?

Il #MeToo è meno legato alle performance urbane ma ci sono stati dei casi precedenti a questo movimento, che sono più legati allo spazio urbano. È doveroso citare una storia del 2015 che ha ottenuto grande visibilità anche all’estero, la storia delle feminist five, cinque femministe che distribuivano dei volantini contro le molestie sessuali negli spazi pubblici e soprattutto sui mezzi di trasporto. Vennero immediatamente arrestate e trascorsero anche dei mesi in carcere, dove furono maltrattate. Un’altra interessante iniziativa da prendere in esame è stata quella di altre attiviste che andavano in giro indossando abiti da sposa macchiati di sangue finto durante il giorno di San Valentino. Avevano con sé anche dei cartelloni con su scritto “L’amore non giustifica la violenza”, per denunciare le violenze domestiche. 

Queste performance in spazi urbani fungono da contesto e da antecedente a quello che poi sarà il #MeToo che, invece, si svolgerà principalmente nello spazio digitale con i social media. Internet ha costituito una piattaforma importantissima per la creazione di queste comunità, soprattutto per metterle in contatto l’una con l’altra.

Questi movimenti sono molto spontanei e molto decentrati, in quanto non esiste una figura che dirige e regola il movimento. Il fatto che questi movimenti non possano essere ricondotti ad un’unica figura ha sempre giocato a loro favore. I vari movimenti, quindi, hanno messo sotto pressione il governo portando, nel 2016, all’emanazione della prima legge contro la violenza domestica; nel 2020, invece, nel Codice civile è stato inserito il concetto di sexual harassment.

Fotografia scattata nello Yunnan, Cina. Raffigura una donna con un bambino ed una lanterna di carta in primo piano.
La ruralità nello Yunnan

In che modo la censura ha influenzato la dualità tra spazio urbano e ruralità in queste narrazioni?

Questa dualità esiste ed è sempre stata percepita in Cina in tutto il corso del Ventesimo secolo. Il divario campagna-città continua ad essere un divario che non è stato colmato; continua ad esserci questo dualismo, questa distanza tra il mondo rurale e il mondo della città.  Del resto, la campagna è stata a lungo la base fondamentale che ha consentito alle città di crescere. In epoca socialista il contadino veniva visto come la figura più privilegiata, più celebrata, ma di fatto i processi di industrializzazione hanno spinto l’attenzione sulle città, a discapito delle campagne. 

Per quanto concerne il modo in cui la censura abbia influenzato questa dualità, la mia intuizione è che, molto probabilmente, l’interesse del governo sia ridurre il gap; quindi, l’aspettativa è quella di potenziare anche le campagne, mettere fine alla povertà per poi avvicinare questi due mondi. In Cina, esiste il sistema della registrazione (hukou), che ha fortemente contribuito ad accentuare il divario campagna-città.  Chi nasceva in un contesto rurale, e possedeva quindi uno hukou rurale, non avrebbe potuto trasformare il proprio status in quello pari al rispettivo di un nativo in un contesto urbano. Successivamente alcune misure sono state messe in atto per consentire ad alcuni di coloro che si muovono dalle campagne verso le città, di poter rimanere in città e ottenere la registrazione urbana. 

Ne consegue che, se a livello di propaganda ufficiale è fondamentale cercare di ridurre il gap, nella scrittura si cerca invece tutto ciò che getta luce sulle difficoltà vissute nelle campagne dai contadini. Lì la censura interviene anche pesantemente per glissare questo tipo di contraddizioni, per promuovere ciò che il più possibile rifletta o si allinei alla visione ortodossa.

Può darci qualche consiglio di lettura, in particolare di autori cinesi che, secondo lei, hanno dato un contributo significativo alla letteratura?

Sicuramente dobbiamo citare Ding Ling con Il Diario della signorina Sofia di fine anni Venti. Quest’opera parla di una donna un po’ decadente, borghese, emancipata, alla ricerca dell’amore libero; questo testo è tanto affascinante quanto audace in quanto esplora per la prima volta il mondo della sessualità femminile.

Un altro suo romanzo molto interessante è The Sun Shines over the Sanggan River scritto alla fine degli anni Quaranta. Questo testo è affascinante perché, pur allineandosi alle nuove politiche letterarie, continua a rimanere legato a una certa visione femminista che forse Ding Ling non ha mai del tutto abbandonato nonostante queste trasformazioni.  

Zhang Ailing è un’altra autrice che vale la pena citare, soprattutto per il suo capolavoro Love in a Fallen City, storia ambientata nella Shanghai e Hong Kong degli anni Quaranta, durante la guerra e l’occupazione giapponese.

Xiao Hong è una figura altrettanto interessante, soprattutto per quanto riguarda la sua opera The Field of Life and Death, novella ambientata durante l’occupazione giapponese in Cina, in cui i temi del femminismo sono esplorati dalla prospettiva dell’agonia del parto in contesti rurali. 

Per coloro che fossero interessati al rapporto fra le donne, il mondo militare, vale la pena leggere l’autobiografia di Xie Bingying (1906-2000)tradotta in inglese: A Woman Soldier’s Own Story, testo del 1936 che consente di esplorare la costruzione del soggetto femminile rivoluzionario in quegli anni. 

Cito anche l’autobiografia scritta in inglese da Ling Shuhua (1900-1990), Ancient Melodies fu scritto sotto suggerimento di Virginia Woolf. Quest’opera è importante perché rappresenta il frutto di collaborazioni transnazionali, come in questo caso, tra una scrittrice cinese ed una scrittrice inglese.

Andando verso il contemporaneo, una figura di grande spicco è Can Xue (1953- ), con i suoi Dialoghi in cielo. Can Xue è emersa negli anni Ottanta e la sua scrittura è abbastanza rappresentativa delle sperimentazioni linguistiche di quegli anni. Per certi versi evoca le forme del realismo magico con narrazioni non lineari e con una trama non definita. I suoi sono racconti caratterizzati da una forte attenzione alla materialità, dopo anni di ideologie e campagne di massa negli anni precedenti durante l’epoca socialista.

Negli anni Novanta in Cina si sviluppa un’economia neoliberale, capitalista e le donne, inclusele scrittrici, esplorano una nuova forma di sessualità nel mondo della prostituzione e delle droghe. Ci sono due romanzi molto famosi che poi sono stati messi al bando in Cina: uno è Candy di Mian Mian (1970- ) e l’altro è Shanghai Baby di Zhou Weihui (1973- ). Questi romanzi sono stati tradotti in moltissime lingue e narrano di donne, spesso urbane, educate, che hanno avuto un’istruzione, e che si orientano in questo nuovo mondo consumista, un mondo in cui il corpo della donna è mercificato. L’attenzione è spostata sul tipo di strategie che queste donne mettono in atto per sopravvivere in questa nuova realtà.

Concluderei con Cena per sei di Lu Min (1973- ) e Crescita selvaggia di Sheng Keyi: questi due romanzi offrono uno spaccato del mondo contemporaneo, della prospettiva della classe media e del mondo più rurale. Per quanto riguarda il femminismo, un’opera importante è Il tuono dell’anarchia di He-Yin Zhen (1884-1920); oggi ne abbiamo anche la traduzione in italiano (D Editore), mentre prima era soltanto in inglese. Questa raccolta di saggi è importante perché danno voce ad un femminismo diverso da quello nazionalista propugnato da molti intellettuali (uomini) anti-mancesi. A He-Yin Zhen dobbiamo una sua peculiare interpretazione del femminismo in chiave anarchica.


Per approfondire

Licandro, Daniela. “Reading Wendy Larson’s Women and Writing in Modern China (1998) to Reflect on Gender-Based Approaches in China Studies” Altre Modernità, n. 31, maggio 2024), pp. 586-91.https://riviste.unimi.it/index.php/AMonline/article/view/23448


Le foto presenti nell’articolo sono state fornite dalla Dott.ssa Daniela Licandro.


Per citare questo articolo

De Gennaro, Alice e Rossana Gerarda Gioia. “Voci dalla Cina: la scrittura femminile tra censura e libertà di espressione. Intervista a Daniela Licandro”, Geolitterae. https://geolitterae.unimi.it/2024/10/30/voci-dalla-cina-la-scrittura-femminile-tra-censura-e-liberta-di-espressione/