Silenzio come resistenza – Intervista a Federica Zanella

Federica Zanella è una studentessa dell’Università Statale di Milano che ha recentemente conseguito la laurea magistrale in Lingue e Letterature Europee ed Extraeuropee con la tesi: “Hablar callando. Problematización del silencio femenino en la narrativa peruana acerca del Conflicto Armado Interno”. Il suo ambito di specializzazione è il Perù post Conflitto Armato Interno e la produzione artistica e letteraria elaborata dagli anni ’80 fino alla contemporaneità. Nell’intervista ci parlerà della sua passione per la ricerca e per la letteratura peruviana.

Federica Zanella, con capelli lunghi castani e felpa nera, sorride e guarda verso l'obiettivo, mentre il sole le va un po' negli occhi. Sullo sfondo ci sono le montagne andine e si vedono scorci di due città a piedi delle montagne.
Federica Zanella in Perù.

Sia il tuo elaborato triennale che la tua tesi magistrale hanno come tema la letteratura peruviana. Da dove nasce il tuo interesse per questo mondo?

Ho avuto la possibilità di avvicinarmi alla letteratura peruviana durante il mio percorso di studio, in particolare durante il corso di letterature ispanoamericane. La produzione letteraria dell’America Latina è davvero ampia e proprio per questo motivo apre molti spunti di riflessione diversi. La prima volta che mi sono interessata al Perù è stata durante una lezione del terzo anno in cui la professoressa ha nominato il Conflitto Armato Interno.

Questo evento ha suscitato in me grande curiosità, principalmente perché è un conflitto di cui si parla poco, nonostante l’altissimo numero di vittime che ha prodotto: circa 70.000 morti e 150.000 desaparecidos. Questo scontro spicca, inoltre, nel contesto latinoamericano perché è uno dei pochi causato da un gruppo di guerriglia di sinistra che ha causato così tante vittime. Spinta da questa curiosità ho iniziato a leggere e ad approfondire il contesto peruviano autonomamente e mi sono sempre più appassionata a questo mondo, in particolare alla letteratura che viene prodotta in Perù.

Dato che, come hai detto, il Conflitto Armato Interno è un evento poco conosciuto, riusciresti a riassumere un po’ di cosa si tratta?

Il Conflitto Armato Interno è durato circa vent’anni, dagli anni ’80 fino al 2000, ed è scoppiato per la decisione di Sendero Luminoso, un gruppo di ispirazione maoista nato dalla frammentazione della sinistra peruviana. Questo movimento ha dichiarato guerra allo stato con il fine di instaurare un nuovo tipo di governo di estrema sinistra. Il conflitto si è caratterizzato per un’enorme violenza da parte di entrambi i gruppi armati. I civili non sono stati risparmiati da questa violenza, in quanto molte delle vittime erano dei semplici contadini della regione andina. Nel Perù stesso si parla poco di questo argomento, perché è una tematica molto delicata. Inoltre, c’è la tendenza da parte dello stato di legittimare la violenza perpetrata, poiché viene vista come l’unico mezzo che ha potuto combattere e sradicare il terrorismo.

Sul tuo profilo appare che hai trascorso un periodo in Perù per lavorare alla tua tesi magistrale. Come è stata questa esperienza?

Sono stata in Perù cinque mesi, il mio soggiorno è iniziato a novembre del 2021 e si è concluso a fine marzo. Inizialmente pensavo di partire tramite l’università con il bando per le tesi all’estero, purtroppo però l’università in Perù era chiusa e non accettava studenti internazionali e quindi ho deciso di partire autonomamente. Era un’esperienza che desideravo fare da molto tempo, perché dopo aver studiato per anni l’America Latina e aver letto così tanto riguardo al Perù era come se mi fossi costruita un paese immaginario e sentivo una crescente necessità di fare un’esperienza diretta e vivere in prima persona in quei luoghi di cui mi sono appassionata. Inoltre, una seconda ragione per cui ho scelto di intraprendere questa esperienza è la carenza di letteratura peruviana reperibile in Italia.

Vivendo in Perù ho avuto la possibilità di conoscere la letteratura peruviana contemporanea in tutta la sua varietà. L’esperienza è stata molto positiva, anche se all’inizio devo ammettere che è stato un po’ complicato, perché era la prima volta che visitavo l’America Latina. Molte cose funzionano in maniera diversa e, banalmente, all’inizio è stato un problema anche capire quale fosse il modo più conveniente per muovermi in città. In complesso, devo dire che sono soddisfatta perché sono riuscita a conoscere diverse sfaccettature del Perù: inizialmente ho trascorso tre mesi a Lima, poi ho vissuto un mese ad Ayacucho, poi mi sono spostata a Cuzco e infine sono tornata a Lima. La capitale è spesso criticata perché viene giudicata come poco rappresentativa del Perù. Dal mio punto di vista, però, Lima è una città molto interessante, perché è uno specchio che mostra le forti disuguaglianze che caratterizzano il paese.

Viaggiare da sola in un altro continente, in quanto donna, ti ha causato dei problemi? Come ti sei trovata?

Io non ho avuto nessun problema, ma mi hanno detto in molti che sono stata fortunata. Non è scontato che non succeda niente. Sono stata avvertita su come muovermi: ad esempio, mi hanno sconsigliato l’utilizzo dei taxi, questo perché il servizio informale lì è molto più esteso e non si sa mai veramente chi guida o su che macchina si sta salendo. In realtà, immaginavo il Perù come un paese pericoloso e invece non è stato così: camminando per strada mi sentivo tranquilla.

L'immagine è decorativa. È a Lima, di giorno, e ci sono delle strade sono quasi vuote, ad eccezione di alcuni bambini che giocano a palla. Le case sono colorate di colori vividi, rosso, giallo, verde, e incorniciano la scena.
Barrio Barranco, Lima. Foto di Andres Urena.

Il titolo della tua tesi magistrale, hablar callando, è essenzialmente un ossimoro. Ci puoi raccontare come avviene il silenzio femminile nella narrativa post-conflitto?

È una domanda che ha una risposta molto ampia. Mi sono resa conto che l’immaginario che condividiamo rispetto a tutto il fenomeno dell’abuso sessuale e del silenzio femminile non smuove la donna dal ruolo che occupa nel discorso patriarcale che legittima la violenza. Sembra non ci sia altro modo per concepire l’esperienza dell’abuso sessuale se non in quello di vittima: è un’esperienza che si declina, per definizione, al passivo. Non è prevista agencia, quindi resistenza nell’esperienza della vittima. Invece, nello stesso abuso sessuale ci può essere agencia. Sono molte le testimonianze di donne che nel conflitto hanno accettato lo scambio del proprio corpo per salvarsi la vita o per salvare la vita dei propri familiari. Perché quindi ridurlo solo all’abuso che hanno sofferto, quando invece c’è stata agencia, resistenza ed eroismo in quello che hanno fatto?

Molto spesso è proprio questo racconto che loro vogliono privilegiare quando portano la loro testimonianza, anche di fronte a organismi come la Commissione per la verità e la riconciliazione. Nel momento in cui si considera il loro silenzio come una sconfitta, come un vuoto di parole che deve essere colmato, in cui la donna non denuncia perché schiacciata da una realtà che non le permette di parlare – come la società patriarcale o lo stigma sociale – si finisce per vittimizzare ulteriormente la donna. Se si riduce la vittima solo a vittima di violenza, si finisce per produrre l’obiettivo stesso dell’abuso sessuale, ossia l’annullamento. Con il discorso umanitario e femminista si continua a ricondurre e a ricollocare la donna nel ruolo della passività e di un soggetto che ha bisogno della tutela del soggetto umanitario che riesce a colmare il suo silenzio, perché da sola non ci riuscirebbe.

Quindi è un silenzio di resistenza.

Esatto. L’abuso sessuale e il silenzio possono nascondere agencia soprattutto se si parla di un contesto come quello andino, dove entrano in gioco una serie di dinamiche comunitarie completamente diverse dai nostri contesti. Una pensatrice indigena del femminismo comunitario, Julieta Paredes, riflette sul fatto che non bisognerebbe parlare del femminismo al singolare ma declinandolo al plurale. Questo perché il femminismo occidentale è molto pratico nel momento in cui parliamo di una donna che vive in un contesto come il nostro, però potrebbe non rispecchiare le esperienze di donne che vivono in contesti differenti. Riflette sulla donna indigena, che, rispetto a quella occidentale, è caratterizzata da una dualità: il corpo porta dei genitali femminili e allo stesso tempo è un corpo indigeno. Soffre quindi una doppia discriminazione: di genere ed etnica. Le sue rivendicazioni in quanto donna non si possono scindere dalle rivendicazioni etniche della comunità a cui appartiene.

L’emancipazione femminile non si può raggiungere attraverso l’antagonismo di genere perché appunto creerebbe contrasti e frammentazioni all’interno della comunità, che invece vuole rimanere coesa. Deve raggiungersi congiuntamente alla controparte maschile della comunità. Cosa succede quando il diritto della donna entra in conflitto con quello comunitario? Ad esempio, quando i leader delle comunità che non vogliono che le donne denuncino gli abusi sofferti perché la comunità quedaría mal, ossia farebbe brutta figura? Che silenzi sorgono da questo contrasto? Dietro al silenzio femminile si può nascondere un mondo. Ad esempio, le donne possono tacere un abuso in ottica comunitaria. Mostrare come c’è di più in questo silenzio aiuta anche a sradicare la donna da questa posizione di passività in cui la mettiamo.

Nella tua tesi ti concentri su tre romanzi. Quali di questi tre suggeriresti a un lettore che vuole avvicinarsi a questo contesto?

Consiglio ovviamente la lettura di tutti e tre. La hora azul di Alonso Cueto è più vicino alla scrittura occidentale e lo potrei consigliare come prima lettura ma non è il testo migliore tra i tre. Secondo me il migliore è Rosa Cuchillo di Óscar Colchado Lucio, di lettura più complessa. La sangre de la aurora di Claudia Salazar Jiménez è un testo che merita essere letto ma che io critico nella mia tesi perché, rispetto all’immaginario che riproduce sulla donna, sull’abuso e sul silenzio, è molto fedele a quella che è la retorica femminista e umanitaria che io contesto. Lo consiglio ma è da leggere con una cautela in più.


Per citare questo post:

  • Castiglione Mariana Lucia, Gavazzeni Laura, “Silenzio come resistenza – Intervista a Federica Zanella”, Geolitterae, Università degli Studi di Milano, 19.04.2022, https://geolitterae.unimi.it/2022/04/19/silenzio-come-resistenza-intervista-a-federica-zanella/

Materiale bibliografico di riferimento:

  • Zanella Federica, “Hablar callando. Problematización del silencio femenino en la narrativa peruana acerca del Conflicto Armado Interno”, Università degli Studi di Milano, 2022.