Nell’articolo “Time, Memory and Inner space”, pubblicato per la prima volta in The Woman Journalist nel 1963 (e qui tradotto in italiano da Marco Ferraro), Ballard espone i principi e le ispirazioni che guidano la sua scrittura creativa. Lo scrittore delinea alcuni elementi caratterizzanti non solo la sua prosa, ma la scrittura fantascientifica in generale.
È possibile osservare come Ballard, già agli inizi della sua carriera (The Drowned World fu il suo secondo romanzo), accostasse la sua scrittura al modo in cui si generano i sogni. Come segnala Guidotti nel suo saggio “Voci dal mare di sabbia”, lo scrittore rimarrà della stessa idea anche durante la sua intervista a Thomas Frick nel 1984:
“Recurrent ideas assemble themselves, obsessions solidify themselves, one generates a set of working mythologies, like tales of gold invented to inspire a crew. I assume one is dealing with a process very close to that of dreams” / “Idee ricorrenti si assemblano da sole, le ossessioni si cristallizzano, si genera una serie di mitologie coerenti, come storie di tesori inventate per ispirare una ciurma. Io ritengo che si abbia a che fare con un processo molto simile a quello dei sogni”
Ballard
Costante rimane anche la passione dello scrittore per l’arte surrealista, che egli accosta alla sua idea di “inner space“.
L’ inner space di Ballard condivide alcuni tratti con la concezione di “spazio estremo” (definito da Guidotti) andando a delineare nello specifico la componente psichica interiore di questo spazio liminale.
Tempo, memoria e spazio interiore
Fino a che punto i paesaggi della propria infanzia, come le sue esperienze emotive, forniscono uno sfondo inevitabile a tutta la scrittura fantastica di qualcuno? Certamente le mie prime memorie sono di Shanghai durante l’annuale lunga stagione delle alluvioni, quando le strade della città erano sommerse fino a due o tre piedi da acqua marrone piena di fango, e dove la campagna circostante nel centro della pianura allagate dello Yangtse, era quasi un continuo specchio di risaie sommerse e canali d’irrigazione che scorrevano lentamente sotto la calda luce del sole. Ripensandoci, mi sembra che l’immagine di un’immensa semi-sommersa città invasa da vegetazione tropicale, che forma il fulcro di The Drowned World, è in un certo senso una fusione delle mie memorie d’infanzia di Shanghai e di quelle dei miei ultimi dieci anni a Londra.
Uno degli elementi del romanzo è il viaggio di ritorno fatto dai personaggi principali, dal ventesimo secolo fino al soleggiato mondo paradisiaco di un secondo periodo Triassico, e la loro crescente coscienza dell’ambivalenza dei motivi che li spingono nel passato che riemerge. Essi realizzano che il mare uterino attorno a loro, l’oscuro grembo dell’oceano madre, è tanto il sepolcro della loro individualità quanto la fonte delle loro vite, e forse le loro paure riflettono la mia stessa difficoltà a mettere in scena l’esperienza della mia infanzia e a tentare di esplorare un così pericoloso terreno.
Tra la caratteristica fauna del periodo Triassico vi erano coccodrilli e alligatori, creature anfibie a loro agio nei mondi acquatico e terrestre, che simboleggiano per l’eroe del romanzo i sommersi pericoli della sua avventura. Anche ora posso ricordare in modo vivido gli enormi, antichi alligatori tenuti in un’angusta fossa di cemento, mezza piena di pacchetti di sigarette e confezioni di gelato nel rettilario allo Zoo di Shanghai, che sembravano essere stati catapultati loro malgrado nel ventesimo secolo di tantissime decine di milioni di anni.
Per molti aspetti questa fusione di esperienze passate e presenti, e di così differenti elementi come le moderne sedi di uffici del centro di Londra e un alligatore in uno zoo cinese, richiama i meccanismi attraverso i quali i sogni sono costruiti, e forse il grande valore del fantasy come genere letterario sta nella sua abilità di mettere insieme idee apparentemente scollegate e dissimili. In un certo senso tutto il fantasy serve a questo scopo, ma credo che il fantasy speculativo, come io preferisco chiamare la branca più seria della fantascienza, è un modo straordinariamente potente di usare la propria immaginazione per costruire un universo paradossale dove sogno e realtà si fondono insieme, ognuno mantenendo la propria qualità distintiva ma assumendo in un certo senso il ruolo del proprio opposto, e dove secondo un’indiscutibile logica il nero contemporaneamente diventa bianco.
Senza suggerire in alcun modo che l’atto di scrivere sia una forma di auto-analisi creativa, credo che lo scrittore di fantasy abbia la spiccata tendenza a selezionare immagini e idee che riflettano il paesaggio interiore della sua mente, e il lettore di fantasy deve interpretarle su questo livello, distinguendo tra il contenuto esplicito, che può sembrare oscuro, incomprensibile o da incubo, e il contenuto latente, il personale vocabolario di simboli tratti dalla narrazione originata dalla mente dello scrittore. I mondi dei sogni, i paesaggi sintetici e la plasticità di forme visive inventate dall’autore di fantasy sono gli equivalenti esterni del mondo interiore della psiche, e poiché questi simboli traggono il loro impeto dai più formativi e confusi periodi delle nostre vite, essi sono spesso sculture temporali di terrificante ambiguità.
Questa zona io la ritengo uno “spazio interiore”, il paesaggio interiore del domani che è una trasmutata immagine del passato, e una delle più fruttifere aree per lo scrittore di fantasia. È particolarmente ricca di simboli visivi, e sento che questo tipo di fantasy speculativo ricopre un ruolo molto simile a quello del surrealismo nelle arti grafiche. I pittori de Chirico, Dalì e Max Ernst, tra gli altri, sono in un certo senso gli iconografi dello spazio interiore, tutti durante i loro più creativi periodi si dedicarono alla scoperta di immagini dove la realtà interna ed esterna si incontrano e si fondono. Dalì, purtroppo, è ora in un completo, sostanziale declino, ma i suoi dipinti, con i loro orologi molli e le minacciose spiagge luminose, sono quasi di una potenza magica, pervasi da quella curiosa ambivalenza che si può vedere altrove solo nei serpentini volti dei dipinti di Leonardo.
È curioso che i paesaggi di questi dipinti, e di Dalì in particolare, siano spesso definiti onirici, quando in realtà essi non presentano alcuna somiglianza con la maggior parte dei sogni, che in genere sono ambientati in setting confinati ed interni, un incrocio tra Kafka e il Diario di Mrs Dale, dove immagini fantastiche, come i fiori canterini o la scultura sonica, appaiono tanto infrequentemente quanto lo farebbero nella realtà. Questa falsa identificazione, e la consapevolezza che i paesaggi e i temi sono riflessioni di una qualche realtà interiore entro le nostre menti, è indice dell’importanza del fantasy speculativo nel secolo di Hiroshima e Cape Canaveral.
per citare questo post:
Ferraro, Marco. “Tempo, memoria e spazio interiore”. Geolitterae, Università degli Studi di Milano, marzo 2022, https://geolitterae.unimi.it/2022/03/19/tempo-memoria-e-spazio-interiore/
Materiale bibliografico di riferimento
- Ballard, James Graham, Time, Memory and Inner Space, nel volume Ballard, James Graham, The Drowned World , introduzione di Martin Amis, Fourth Estate, Londra, 2014.
- McGrath, Rick. “jgballard.ca”. J.G. Ballard (jgballard.ca)