Il volume raccoglie i contributi presentati nelle giornate di studio che si sono tenute il 9 e il 10 aprile 2014 presso la Facoltà di Studi umanistici dell’Università degli Studi di Milano sul tema “Deserti e altre terre desolate. Rappresentazioni geografiche e letterarie”. Gli autori dei saggi sono: Nicoletta Brazzelli, Flavio Lucchesi, Giuseppe Rocca, Anna Maria Salvadè, Guglielmo Scaramellini, William Spaggiari.
Informazioni bibliografiche
Deserti. Rappresentazioni geografiche e letterarie, a cura di Anna Maria Salvadè. Milano: Mimesis, 2016, p. 200. ISBN 978-88-5753-766-5.
Sinossi
Luogo di isolamento, di trascendenza e di ricerca di sé, il deserto alimenta da sempre l’immaginario della cultura occidentale. Il volume, che trae origine da un recente incontro interdisciplinare svoltosi presso l’Università degli Studi di Milano, raccoglie contributi di studiosi di vario orientamento sulla terra desolata come specifica realtà del mondo naturale, ma anche come entità privilegiata per la rappresentazione di particolari condizioni umane. Delle valenze paesaggistiche, storiche e simboliche di una tematica così ricca di suggestioni e sollecitazioni ad ampio raggio si sono nutrite, secondo prospettive differenti, la poesia, la prosa di viaggio, la letteratura del turismo e le arti (dalla pittura fino al cinema e al fumetto).
Dal volume: “Premessa”
Si raccolgono in questa sede i contributi presentati nelle giornate di studio che si sono tenute il 9 e il 10 aprile 2014 presso la Facoltà di Studi umanistici dell’Università degli Studi di Milano sul tema “Deserti e altre terre desolate. Rappresentazioni geografiche e letterarie”.
All’iniziativa hanno partecipato anche Nicoletta Vallorani (Abitare il deserto: Derek Jarman a Dungeness), Davide Bigalli (Il deserto della fine del mondo: messianismo e rivolta nel sertão brasiliano) e Carlo Pagetti (La terra desolata da T.S. Eliot alle narrazioni ‘popolari’: J.R.R. Tolkien, P.K. Dick, Walking Dead); del progetto “Trinidad” Carlo Pagetti è stato, ed è, protagonista e promotore fin dall’avvio nel 2009.
Si è trattato della sesta edizione di un progetto di ricerca che, sotto la sigla di “Paradigmi dell’immaginario tra letteratura e geografia”, ha inteso aprire, con cadenza annuale, indagini e riflessioni sulle rappresentazioni e sulle valenze culturali di luoghi reali e immaginari, di volta in volta indagati secondo prospettive riconducibili alle diverse aree (linguistiche, geografiche, storiche, letterarie). Al centro degli approfondimenti interdisciplinari si sono così succedute tematiche relative alle interpretazioni geografico-letterarie di specifiche realtà del mondo naturale: ghiacci (2009), isole (2010), fiumi (2011), mari (2012), boschi (2013). Ad eccezione delle risultanze della sessione inaugurale
(i cui contributi sono stati pubblicati sulla rivista Acme. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, vol. LXIII, fasc. II, maggio-agosto 2010, pp. 5-99), gli Atti degli incontri successivi sono apparsi tra il 2013 e il 2015, presso le edizioni Mimesis, come volumi nn. 1-4 della collana “Trinidad”. Seguiranno gli Atti delle edizioni del 2015 (laghi e paludi) e del 2016 (monti). Nel 2017 l’argomento uscirà dai consueti parametri del mondo fisico per affrontare il tema dei “Mondi immaginari, perduti e ritrovati”, ricco di sollecitazioni culturali ad ampio raggio.
Guglielmo Scaramellini
Note sul deserto nell’immaginario narrativo e figurativo attuale
Il deserto è una realtà geografica che si presenta sulla superficie in molti luoghi e tipi, ma nella cultura corrente è rappresentata soprattutto dal Sahara, il grande deserto caldo e arido, che ne costituisce quasi il prototipo e il modello cui ogni altro deserto terrestre si confronta. Tale immagine deriva, nella cultura occidentale, soprattutto dalla parte che ha avuto nella tradizione biblica ed evangelica quale luogo di asilo, di riscatto, di trascendenza, di contatto con Dio, ma anche di isolamento, di punizione, di espiazione, di ricerca di sé, così che la sua ambivalenza ne fa un luogo non solo fisico ma anche spirituale di grande suggestione e valore simbolico. Ma sulla Terra esistono altri tipi di deserto, luoghi privi di vita o in cui essa è rada e stentata, pianeggianti e montuosi, sabbiosi e rocciosi, diversi secondo calore e aridità, escursione termica giornaliera e stagionale, regime e quantità delle precipitazioni, assenza o presenza di vegetazione, stanzialità o mobilità, sporadicità o continuità del popolamento umano, pervietà o repulsione del territorio. Dunque esistono deserti caldi e aridi come il Sahara, ma anche umidi e freddi come le terre artiche, deserti privi di vegetazione e altri, come le foreste tropicali, in cui l’eccesso di vitalità biologica inibisce la vita di animali di grossa taglia e di gruppi umani. Queste proprietà così varie ma anche così dirimenti per la presenza antropica hanno reso il deserto un luogo privilegiato per la rappresentazione della condizione umana, in termini concreti e materiali, astratti e simbolici, dei quali si sono impadronite, fin dall’Antichità, letteratura e arti figurative, poi fotografia, cinema, televisione, perfino sport e turismo.
Flavio Lucchesi
I deserti australiani, dove il sole (con)fonde geografia e letteratura
Il contributo illustra in una sintesi iniziale le principali caratteristiche climatiche delle regioni aride e desertiche: le precipitazioni, le temperature, le peculiarità morfologiche e morfogenetiche, la flora e la fauna, la presenza delle comunità umane. L’attenzione si focalizza poi sul grande cuore desertico australiano, che domina nel tavolato centro-occidentale dell’isola/continente, costituendo un’immensa regione caratterizzata dalle scarse piogge, dalle temperature particolarmente elevate e da una frammentaria presenza umana, generalmente legata alle estrazioni minerarie. Proprio questo immenso e arido entroterra ha da sempre costituito un elemento fondamentale nella storia e nella vita quotidiana degli aborigeni australiani, così come è entrato profondamente nella cultura dell’uomo bianco. L’outback e il bush hanno pertanto assunto in Australia un valore iconico, riferendosi a un paesaggio estremamente diverso da quello europeo e che si è ben presto caricato di significati reconditi. Ciò viene molto ben evidenziato nella letteratura, che ha tentato – con risultati alterni – di pervenire alla conquista culturale del territorio da parte dei colonizzatori e alla sua progressiva conversione in immagine codificata. Il caso di tre opere scritte da altrettanti importanti esponenti della letteratura contemporanea ben esemplifica e testimonia il differente – se non antitetico – ruolo attribuito al deserto dalla cultura aborigena e da quella anglo-australiana.
Giuseppe Rocca
Il deserto libico negli anni Trenta del Novecento. Il rapporto uomo ambiente
e l’immagine turistica
Negli anni Trenta il deserto libico è stato oggetto di ricerche durante le spedizioni italiane organizzate dal Centro di Studi Coloniali di Firenze ed in particolare dalla Società Geografica Italiana nel periodo 1933-36. A tali ricerche parteciparono accademici ed esperti di geologia, antropologia, etnologia, linguistica, botanica, zoologia, topografia e geografia. Il deserto fu anche oggetto di controllo politico e di un primo tentativo di decollo turistico ispirato a chiari intenti politici. La campagna promozionale, infatti, privilegiò non soltanto il fascino offerto dalle antiche città costiere romane di Leptis Magna, Sabratha, Apollonia e Cirene, ma anche alcuni luoghi interni come Ghadames e le oasi nel cuore del deserto. L’autore analizza anzitutto il rapporto uomo-ambiente nel deserto libico percepito, descritto e interpretato dai geografi che parteciparono alle impegnative missioni esplorative. Considera poi alcuni significativi romanzi della cosiddetta letteratura coloniale, come i romanzi popolari di Mario dei Gaslini e Gino Mitrano Sani, scrittori che contribuirono alla promozione turistica della Libia. Infine, analizza l’immagine della Libia proposta dalle guide turistiche dell’epoca.
William Spaggiari
“Sol nei deserti tacciono i miei guai”: luoghi desolati nei percorsi di
Vittorio Alfieri
Il contributo mette a confronto i testi poetici (sonetti, terzine satiriche) e quelli in prosa (lettere, autobiografia) nei quali Vittorio Alfieri descrive realtà geografiche, situazioni e ambienti con i quali venne a contatto nel corso dei viaggi in Europa; di quelle pagine vengono anche segnalate le probabili fonti letterarie, dal Don Chisciotte di Cervantes alle più recenti relazioni di viaggio. Soltanto nei luoghi più remoti e desolati, dalla pianura russa ai deserti dell’Aragona (ma anche nella campagna romana, o davanti al mare di Marsiglia), l’ansia, l’insoddisfazione, la malinconia che caratterizzano la sua esistenza sembrano trovare appagamento, a contatto con una natura aspra e selvaggia, capace di accendere la fantasia. Anche attraverso queste pagine odeporiche sui ‘luoghi estremi’ Alfieri si configura, agli occhi dei lettori, come personaggio solitario, fiero e sdegnoso, tanto da divenire più tardi, in età romantica e risorgimentale, oggetto di una diffusa mitizzazione eroica.
Anna Maria Salvadè
Giacomo Leopardi e il “deserto del mondo”
Analizzando le molteplici occorrenze del lemma ‘deserto’ nella produzione leopardiana, il contributo intende mostrare come, da una iniziale predisposizione per gli scenari desolati e inospitali, filtrata attraverso eterogenee frequentazioni di lettura (Alfieri, Cervantes), Leopardi vada di volta in volta attribuendo al luogo arido e solitario significati sempre nuovi e diversi: scenario privilegiato di riflessione filosofica, metafora dell’esistenza priva del bello e delle illusioni, rappresentazione del nulla. Il deserto è inoltre meta ultima della geografia del poeta, sia nella prosa delle Operette (il “deserto della vita” di Tristano) sia nei versi della Ginestra, nel paesaggio siderale alle pendici del Vesuvio, “formidabil monte”, figura della fragilità dell’uomo e della potenza implacabile della natura.
Nicoletta Brazzelli
“Where anything might happen”: Picnic at Hanging Rock di Joan Lindsay
Presentando i fatti come se fossero realmente accaduti, ma inserendoli in una dimensione misteriosa e onirica, Picnic at Hanging Rock di Joan Lindsay (1967) racconta la scomparsa inspiegabile di tre ragazze e di una loro insegnante durante una gita compiuta il giorno di San Valentino del 1900 alla Hanging Rock, “meraviglia naturale” dello stato australiano di Victoria. Il saggio si concentra soprattutto sulla simbologia geografica della roccia antichissima di origine vulcanica che si colloca al centro della narrazione di Lindsay (e del film di Peter Weir, ispirato dal romanzo, del 1975). Picnic at Hanging Rock rappresenta i conflitti profondi che hanno segnato l’esperienza coloniale in Australia, lo scontro fra le culture aborigene e l’ideologia imperiale inglese, la spaccatura radicale fra natura e cultura. Nel romanzo, infatti, le difficoltà delle relazioni fra colonizzatori e colonizzati vengono articolate in forma spaziale, specialmente attraverso l’opposizione fra la costruzione ordinata dello Appleyard College e il bush caotico e selvaggio che lo circonda. La roccia attrae e cattura, inghiottendole, le migliori rappresentanti del mondo bianco, che appaiono come sacrificate a un’entità aborigena e sono sottoposte a un processo di trasformazione dalla sfera umana a quella naturale. La Hanging Rock, che domina il paesaggio e chi lo abita, è rappresentata come una labirintica terra desolata, dove vita e morte si confrontano e si contrappongono, dove passato, presente e futuro si intersecano. L’Australia, percepita come un vuoto, priva di storia e significato prima dell’appropriazione coloniale europea, è un mondo rovesciato, primordiale, infestato da presenze misteriose e inconoscibili, “where anything might happen”.